lunedì 31 marzo 2008

L'isola che non c'è più

Il sogno impossibile della Repubblica delle Rose
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione, 30.3.2008

L'Italia è una paese a cui non mancano gli scheletri nell'armadio. E in questi giorni, durante i quali dal lontano Tibet giungono immagini e cronache di un vergognoso tentativo di genocidio culturale, forse a qualcuno sarà tornata in mente una vecchia storia italiana. È la storia di quando fu lo Stato Italiano, sul finire degli anni Sessanta, a porre fine in modo violento alla pacifica parabola di una giovane repubblica indipendente. È la storia della Repubblica delle Rose.

«Perché mai solo le piattaforme petrolifere e metaniere?». Forse è questa la domanda che ispirò il progetto dell'ingegnere bolognese Giorgio Rosa. Quello di creare un'isola artificiale, in acque internazionali, e dichiararla repubblica indipendente. Si può fare, il diritto internazionale non lo vietava e non lo vieta tuttora. È di questi giorni la notizia che il principato di Sealand, una vecchia piattaforma marina situata nella Manica e "conquistata" nel 1967 da Roy e Joan Bates, andrà presto all'asta per diventare probabilmente la prima micronazione al mondo a divenire sede legale di un provider informatico.

Costituita la Spic (Società Sperimentale per Iniezioni di Cemento), con presidente Gabriella Chierici, moglie dell'ingegnere e suo direttore tecnico, l'ingegnere Rosa la sua isola incomincia a costruirsela da solo. Le prime ispezioni del punto prescelto, al largo di Rimini, avvengono nel luglio del 1958. L'idea è quella di costruire un telaio di tubi di acciaio saldati da trasportare in galleggiamento fuori dalle acque territoriali italiane e successivamente installarlo ancorandolo al fondo che in quel punto non è profondo. Smonta il motore da una Fiat 500 e lo applica a uno speciale natante che sarà utilizzato per tutti i sopralluoghi e i lavori di preparazione dell'isola.

I lavori vanno avanti lentamente, tra la base a terra situata in un capanno sul molo di Rimini, e le operazioni in mare aperto. Nell'estate del 1962, allo stupore e all'ammirazione dei riminesi e di quanti sapevano dell'impresa dell'ingegnere Rosa, si aggiunse l'attenzione delle autorità italiane che intimarono alla Spic di interrompere immediatamente i lavori. Ma Rosa fa tutto in regola. Nel 1964 contatta le Capitanerie di Porto di Rimini, Ravenna e Pesaro per informare dei rifornimenti e della costruzione della struttura dell'isola presso i cantieri navali, nonché per procedere alla pubblicazione dell'avviso ai naviganti per la segnalazione della presenza di strutture.

Intanto l'isola prende forma. Siamo nel 1966. La Polizia si interessa direttamente della vicenda, intimando di cessare i lavori in quanto l'area marina sarebbe stata data in concessione all'Eni per attività estrattive. Ma Rosa difende le sue "attività sperimentali" in acque internazionali e va avanti per la sua strada. Il fondale in quel punto è basso è le perforazioni danno esito positivo. Viene trovata una falda di acqua dolce, così, finalmente, l'isola diviene abitabile e il 20 agosto del 1967 viene aperta al pubblico.

Intanto sull'isola i lavori continuano: sui pali viene gettato un piano in laterizio armato alto 8 metri sul livello del mare su cui si erigono dei muri che limitano dei vani. Il territorio della repubblica misura ben 400 metri quadri. Comincia anche una sopraelevazione di un secondo piano, che dovrà concludersi, in previsione, in cinque piani. Inoltre, viene attrezzata un'area di sbarco per battelli, denominata "Il Porto Verde".

La piattaforma sorge a 6,27 miglia marine (11,6 km) al largo della costa italiana, di fronte a Torre Pedrera, nel comune di Bellaria-Igea Marina, dunque ben 500 metri al di fuori delle acque territoriali. L'Isola confina esclusivamente con acque internazionali, ad eccezione del lato sud-ovest dove, nonostante il mezzo chilometro di distanza, per lo stato italiano è confinante con le acque territoriali. In posizione quasi simile si trovavano le Piattaforme Metanifere dell'Agip.

L'entità che si costitusce sulla piattaforma artificiale prende il nome, in lingua esperanto, di Libera Teritorio de la Insulo de la Rozoj (Libero Territorio dell'Isola delle Rose), trasformatosi poi in Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj (Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose). Accade così che la neonata repubblica dichiara la propria indipendenza il primo maggio 1968, con Giorgio Rosa presidente. Ma la notizia viene resa pubblica con una conferenza stampa solo il 24 giugno successivo.

L'Isola delle Rose adotta uno stemma: tre rose rosse, gambo verde fogliato, su campo bianco di uno scudo sannitico, così come descritto dalla Costituzione. Viene istituita anche una bandiera di colore arancione che al centro riporta lo stemma repubblicano. Inoltre viene scelto l'inno nazionale: il Chor der Norwegischen Matrosen dalla prima scena del terzo atto de L'Olandese Volante di Richard Wagner.
E' un amico esperantista del Rosa, Albino Ciccanti di Bologna, che influisce sulla scelta della lingua ufficiale della nuova repubblica. La scelta dell'Esperanto sancisce in questo modo non solo la piena sovranità e l'indipendenza dalla Repubblica Italiana, ma anche il carattere internazionale e pacifico del nuovo microterritorio. L'altro unico esempio di adozione dell'esperanto come lingua ufficiale di una micronazione si ebbe con il progetto di adozione per il Territorio Libero di Moresnet, un microstato europeo esteso circa 3,5 kmq che resistette dal 1816 al 1919 a cavallo dei confini tra Germania, Belgio e Paesi Bassi.

La repubblica incomincia a diventare - se non proprio una oscura forza sovvertitrice degli equilibri internazionali, come qualcuno crede - una modesta meta turistica. Nell'anno della fondazione si registra infatti un intenso traffico marino dalla costa italiana verso l'Isola delle Rose e viceversa, destando crescente preoccupazione da parte delle forze dell'ordine italiane che assistono impotenti. Il progetto di Rosa viene allora interpretato dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici e non pagare e relative tasse, senza tener conto, tuttavia, che l'Isola delle Rose si trovava al di fuori delle acque territoriali italiane.

La repressione illegale del libero stato delle Rose era alle porte. E' così che la Repubblica Italiana dispone un pattugliamento di motovedette della Guardia di Finanza vicino la piattaforma, impedendo a chiunque, costruttori compresi, di attraccarvi, ottenendo di fatto un primo blocco navale. Nel frattempo la repubblica registra il suo primo abitante stabile: Pietro Bernardini che, dopo un naufragio durante una tempesta, raggiunge a nuoto la piattaforma dopo otto ore trascorse in mare. Successivamente prende in affitto la piattaforma per un anno.

Questo è troppo. Il governo italiano risponde subito e con durezza: a soli 55 giorni dalla dichiarazione d'indipendenza, martedì 25 giugno 1968 alle sette del mattino, una decina di pilotine della Polizia con agenti della Digos, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza circondano l'isola e la occupano militarmente, prendendone possesso, con un'azione ai limiti del diritto internazionale, non contestando alcun reato o illecito, né alcuna violazione delle leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria o di immigrazione. Il governo della Repubblica Esperantista invia un telegramma al presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat, per protestare contro «la violazione della sovranità e la ferita inferta al turismo locale dall'occupazione militare». Ma al telegramma non segue alcuna risposta.

In quello stesso anno, come atto simbolico, il governo delle Rose, in esilio, emana una serie di francobolli con la dicitura Milita Itala Okupado (Occupazione Militare Italiana). E a poco valsero le proteste, gli incontri e i tentatiivi diplomatici tra il governo esiliato e l'intransigente Repubblica italiana. Il destino dell'avventura repubblicana è evidentemente già segnato.

Il 22 gennaio del 1969 una nave della Marina Militare Italiana salpa per l'Isola delle Rose, per la posa dell'esplosivo per la distruzione. L'ultimo atto, il 13 febbraio 1969. Demoliti i manufatti in muratura e segati i raccordi tra i pali della struttura in acciaio, l'Isola delle Rose viene minata con ben 120 kg di esplosivo per ogni palo di sostegno (ben 1.080 kg totali), ma l'esplosione fdeforma solo la struttura portante dell'isola, che non cede. Sarà solo una burrasca, due settimane dopo, a far inabissare per sempre il sogno dell'Isola delle Rose.

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