Il sogno impossibile della Repubblica delle Rose
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione, 30.3.2008
L'Italia è una paese a cui non mancano gli scheletri nell'armadio. E in questi giorni, durante i quali dal lontano Tibet giungono immagini e cronache di un vergognoso tentativo di genocidio culturale, forse a qualcuno sarà tornata in mente una vecchia storia italiana. È la storia di quando fu lo Stato Italiano, sul finire degli anni Sessanta, a porre fine in modo violento alla pacifica parabola di una giovane repubblica indipendente. È la storia della Repubblica delle Rose.
«Perché mai solo le piattaforme petrolifere e metaniere?». Forse è questa la domanda che ispirò il progetto dell'ingegnere bolognese Giorgio Rosa. Quello di creare un'isola artificiale, in acque internazionali, e dichiararla repubblica indipendente. Si può fare, il diritto internazionale non lo vietava e non lo vieta tuttora. È di questi giorni la notizia che il principato di Sealand, una vecchia piattaforma marina situata nella Manica e "conquistata" nel 1967 da Roy e Joan Bates, andrà presto all'asta per diventare probabilmente la prima micronazione al mondo a divenire sede legale di un provider informatico.
Costituita la Spic (Società Sperimentale per Iniezioni di Cemento), con presidente Gabriella Chierici, moglie dell'ingegnere e suo direttore tecnico, l'ingegnere Rosa la sua isola incomincia a costruirsela da solo. Le prime ispezioni del punto prescelto, al largo di Rimini, avvengono nel luglio del 1958. L'idea è quella di costruire un telaio di tubi di acciaio saldati da trasportare in galleggiamento fuori dalle acque territoriali italiane e successivamente installarlo ancorandolo al fondo che in quel punto non è profondo. Smonta il motore da una Fiat 500 e lo applica a uno speciale natante che sarà utilizzato per tutti i sopralluoghi e i lavori di preparazione dell'isola.
I lavori vanno avanti lentamente, tra la base a terra situata in un capanno sul molo di Rimini, e le operazioni in mare aperto. Nell'estate del 1962, allo stupore e all'ammirazione dei riminesi e di quanti sapevano dell'impresa dell'ingegnere Rosa, si aggiunse l'attenzione delle autorità italiane che intimarono alla Spic di interrompere immediatamente i lavori. Ma Rosa fa tutto in regola. Nel 1964 contatta le Capitanerie di Porto di Rimini, Ravenna e Pesaro per informare dei rifornimenti e della costruzione della struttura dell'isola presso i cantieri navali, nonché per procedere alla pubblicazione dell'avviso ai naviganti per la segnalazione della presenza di strutture.
Intanto l'isola prende forma. Siamo nel 1966. La Polizia si interessa direttamente della vicenda, intimando di cessare i lavori in quanto l'area marina sarebbe stata data in concessione all'Eni per attività estrattive. Ma Rosa difende le sue "attività sperimentali" in acque internazionali e va avanti per la sua strada. Il fondale in quel punto è basso è le perforazioni danno esito positivo. Viene trovata una falda di acqua dolce, così, finalmente, l'isola diviene abitabile e il 20 agosto del 1967 viene aperta al pubblico.
Intanto sull'isola i lavori continuano: sui pali viene gettato un piano in laterizio armato alto 8 metri sul livello del mare su cui si erigono dei muri che limitano dei vani. Il territorio della repubblica misura ben 400 metri quadri. Comincia anche una sopraelevazione di un secondo piano, che dovrà concludersi, in previsione, in cinque piani. Inoltre, viene attrezzata un'area di sbarco per battelli, denominata "Il Porto Verde".
La piattaforma sorge a 6,27 miglia marine (11,6 km) al largo della costa italiana, di fronte a Torre Pedrera, nel comune di Bellaria-Igea Marina, dunque ben 500 metri al di fuori delle acque territoriali. L'Isola confina esclusivamente con acque internazionali, ad eccezione del lato sud-ovest dove, nonostante il mezzo chilometro di distanza, per lo stato italiano è confinante con le acque territoriali. In posizione quasi simile si trovavano le Piattaforme Metanifere dell'Agip.
L'entità che si costitusce sulla piattaforma artificiale prende il nome, in lingua esperanto, di Libera Teritorio de la Insulo de la Rozoj (Libero Territorio dell'Isola delle Rose), trasformatosi poi in Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj (Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose). Accade così che la neonata repubblica dichiara la propria indipendenza il primo maggio 1968, con Giorgio Rosa presidente. Ma la notizia viene resa pubblica con una conferenza stampa solo il 24 giugno successivo.
L'Isola delle Rose adotta uno stemma: tre rose rosse, gambo verde fogliato, su campo bianco di uno scudo sannitico, così come descritto dalla Costituzione. Viene istituita anche una bandiera di colore arancione che al centro riporta lo stemma repubblicano. Inoltre viene scelto l'inno nazionale: il Chor der Norwegischen Matrosen dalla prima scena del terzo atto de L'Olandese Volante di Richard Wagner.
E' un amico esperantista del Rosa, Albino Ciccanti di Bologna, che influisce sulla scelta della lingua ufficiale della nuova repubblica. La scelta dell'Esperanto sancisce in questo modo non solo la piena sovranità e l'indipendenza dalla Repubblica Italiana, ma anche il carattere internazionale e pacifico del nuovo microterritorio. L'altro unico esempio di adozione dell'esperanto come lingua ufficiale di una micronazione si ebbe con il progetto di adozione per il Territorio Libero di Moresnet, un microstato europeo esteso circa 3,5 kmq che resistette dal 1816 al 1919 a cavallo dei confini tra Germania, Belgio e Paesi Bassi.
La repubblica incomincia a diventare - se non proprio una oscura forza sovvertitrice degli equilibri internazionali, come qualcuno crede - una modesta meta turistica. Nell'anno della fondazione si registra infatti un intenso traffico marino dalla costa italiana verso l'Isola delle Rose e viceversa, destando crescente preoccupazione da parte delle forze dell'ordine italiane che assistono impotenti. Il progetto di Rosa viene allora interpretato dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici e non pagare e relative tasse, senza tener conto, tuttavia, che l'Isola delle Rose si trovava al di fuori delle acque territoriali italiane.
La repressione illegale del libero stato delle Rose era alle porte. E' così che la Repubblica Italiana dispone un pattugliamento di motovedette della Guardia di Finanza vicino la piattaforma, impedendo a chiunque, costruttori compresi, di attraccarvi, ottenendo di fatto un primo blocco navale. Nel frattempo la repubblica registra il suo primo abitante stabile: Pietro Bernardini che, dopo un naufragio durante una tempesta, raggiunge a nuoto la piattaforma dopo otto ore trascorse in mare. Successivamente prende in affitto la piattaforma per un anno.
Questo è troppo. Il governo italiano risponde subito e con durezza: a soli 55 giorni dalla dichiarazione d'indipendenza, martedì 25 giugno 1968 alle sette del mattino, una decina di pilotine della Polizia con agenti della Digos, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza circondano l'isola e la occupano militarmente, prendendone possesso, con un'azione ai limiti del diritto internazionale, non contestando alcun reato o illecito, né alcuna violazione delle leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria o di immigrazione. Il governo della Repubblica Esperantista invia un telegramma al presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat, per protestare contro «la violazione della sovranità e la ferita inferta al turismo locale dall'occupazione militare». Ma al telegramma non segue alcuna risposta.
In quello stesso anno, come atto simbolico, il governo delle Rose, in esilio, emana una serie di francobolli con la dicitura Milita Itala Okupado (Occupazione Militare Italiana). E a poco valsero le proteste, gli incontri e i tentatiivi diplomatici tra il governo esiliato e l'intransigente Repubblica italiana. Il destino dell'avventura repubblicana è evidentemente già segnato.
Il 22 gennaio del 1969 una nave della Marina Militare Italiana salpa per l'Isola delle Rose, per la posa dell'esplosivo per la distruzione. L'ultimo atto, il 13 febbraio 1969. Demoliti i manufatti in muratura e segati i raccordi tra i pali della struttura in acciaio, l'Isola delle Rose viene minata con ben 120 kg di esplosivo per ogni palo di sostegno (ben 1.080 kg totali), ma l'esplosione fdeforma solo la struttura portante dell'isola, che non cede. Sarà solo una burrasca, due settimane dopo, a far inabissare per sempre il sogno dell'Isola delle Rose.
lunedì 31 marzo 2008
venerdì 28 marzo 2008
Leopoldo re del Belgio e l'organetto
L'organetto può essere strumento di pace, non solo attraverso la musica, ma anche percorrendo un canale misterioso, imperscrutabile. Credo che uno strumento che "respira" esattamente come un essere umano evochi in chi lo tiene in braccio un profondo sentimento materno, o paterno, a seconda dei casi.
Chi ha visto il film "L'ultimo re di Scozia", sicuramente ricorderà la scena in cui Amin (quello vero è nella foto in basso), il feroce dittatore ugandese, per un momento sembra abbandonarsi alla poesia e alla dolcezza della musica: è la scena in cui lo si vede suonare un organetto nel mezzo di una festa, un organetto Honher 2915. Non un semplice espediente narrativo. La fisarmonica, in particolare l'organetto, ha una lunga storia in Africa. In Congo, soprattutto.
Lo Stato Libero del Congo era il nome con cui venne definito il controverso regno privato di Leopoldo II del Belgio che comprendeva l'intera regione oggi costituisce la Repubblica Democratica del Congo. Leopoldo II pose le basi per il controllo militare, politico ed economico del paese fin dal 1877, lo governò dal 1885 al 1908 con un regime dittatoriale basato sul terrore. Il Congo non era altro che il "Dommaine de la Couronne", ovvero un immenso latifondo schiavistico a uso e beneficio personale del re del Belgio.
Fu per placare il malcontento e la protesta delle popolazioni locali che ai belgi venne l'idea di distribuire organetti agli incazzati capi delle comunità locali. E' così che l'organetto divenne uno strumento molto in voga in Congo, almeno fino agli anni Cinquanta, quando fu sostituito dalla chitarra.
In questo eccezionale video, si può vedere Bolia We Ndenge che rievoca, mettendolo in scena, il momento della consegna del primo organetto alle popolazioni locali, avvenuto probabilmente a fine Ottocento.
L'organetto, quindi, è anche strumento della cultura musicale africana. E se non è world music questa...
Chi ha visto il film "L'ultimo re di Scozia", sicuramente ricorderà la scena in cui Amin (quello vero è nella foto in basso), il feroce dittatore ugandese, per un momento sembra abbandonarsi alla poesia e alla dolcezza della musica: è la scena in cui lo si vede suonare un organetto nel mezzo di una festa, un organetto Honher 2915. Non un semplice espediente narrativo. La fisarmonica, in particolare l'organetto, ha una lunga storia in Africa. In Congo, soprattutto.
Lo Stato Libero del Congo era il nome con cui venne definito il controverso regno privato di Leopoldo II del Belgio che comprendeva l'intera regione oggi costituisce la Repubblica Democratica del Congo. Leopoldo II pose le basi per il controllo militare, politico ed economico del paese fin dal 1877, lo governò dal 1885 al 1908 con un regime dittatoriale basato sul terrore. Il Congo non era altro che il "Dommaine de la Couronne", ovvero un immenso latifondo schiavistico a uso e beneficio personale del re del Belgio.
Fu per placare il malcontento e la protesta delle popolazioni locali che ai belgi venne l'idea di distribuire organetti agli incazzati capi delle comunità locali. E' così che l'organetto divenne uno strumento molto in voga in Congo, almeno fino agli anni Cinquanta, quando fu sostituito dalla chitarra.
In questo eccezionale video, si può vedere Bolia We Ndenge che rievoca, mettendolo in scena, il momento della consegna del primo organetto alle popolazioni locali, avvenuto probabilmente a fine Ottocento.
L'organetto, quindi, è anche strumento della cultura musicale africana. E se non è world music questa...
giovedì 27 marzo 2008
Platone e la sua Accademia (del Mantice)
La filosofia è nata dalla chiacchera. Parlando, discutendo, dialogando. Se conosciamo il pensiero di Socrate e di Platone lo dobbiamo soprattutto ai dialoghi di quest'ultimo. Il Fedro, il mio preferito, è quello in cui addirittura si sostiene la superiorità del dialogo alla parola scritta, proprio perchè la parola scritta è, in un certo senso, muta, non può rispondere se interrogata.
Sarebbe piaciuta a Platone questa epoca, così ricca di dialoghi, soprattutto da quando esiste la Rete. Prima c'era solo la televisione, la metafora del discorso dittatoriale: guarda, ascolta e taci.
Una delle forme del dialogo contemporaneo è quella del gruppo di discussione su Internet, veri gruppi di vere persone (non usiamo la parola "virtuale", è assolutamente sbagliata, la detesto) che discutono veramente su tutti gli argomenti. Anche di organetto.
Se volete discutere di organetto, chiedere il parere degli altri e dare il vostro consiglio o aiuto è possibile farlo in almeno quattro comunità.
Il gruppo di discussione italiano, che è quello a più alto tasso di crescita (è nato da soli 23 mesi e proprio oggi compie i primi 300 iscritti).
Il gruppo francese, il più numeroso, conta oggi più di 600 iscritti ma è stato creato 5 anni fa.
Il gruppo inglese, con quasi 400 iscritti (il più vecchio, creato ben 7 anni fa). E un altro Gruppo inglese, o meglio un Forum, che è qualcosa di leggermente diverso.
C'è una sola regola da seguire se volete usare bene questi strumenti. Immaginate di essere all'interno di un gruppo di persone vere e comportatevi di conseguenza: entrate, vi presentate e, se volete, discutete, dialogate.
Platone, da qualche parte, sarà contento.
Sarebbe piaciuta a Platone questa epoca, così ricca di dialoghi, soprattutto da quando esiste la Rete. Prima c'era solo la televisione, la metafora del discorso dittatoriale: guarda, ascolta e taci.
Una delle forme del dialogo contemporaneo è quella del gruppo di discussione su Internet, veri gruppi di vere persone (non usiamo la parola "virtuale", è assolutamente sbagliata, la detesto) che discutono veramente su tutti gli argomenti. Anche di organetto.
Se volete discutere di organetto, chiedere il parere degli altri e dare il vostro consiglio o aiuto è possibile farlo in almeno quattro comunità.
Il gruppo di discussione italiano, che è quello a più alto tasso di crescita (è nato da soli 23 mesi e proprio oggi compie i primi 300 iscritti).
Il gruppo francese, il più numeroso, conta oggi più di 600 iscritti ma è stato creato 5 anni fa.
Il gruppo inglese, con quasi 400 iscritti (il più vecchio, creato ben 7 anni fa). E un altro Gruppo inglese, o meglio un Forum, che è qualcosa di leggermente diverso.
C'è una sola regola da seguire se volete usare bene questi strumenti. Immaginate di essere all'interno di un gruppo di persone vere e comportatevi di conseguenza: entrate, vi presentate e, se volete, discutete, dialogate.
Platone, da qualche parte, sarà contento.
mercoledì 26 marzo 2008
Jet!
Grazie alla segnalazione di un lettore del blog ho scoperto una nuova promessa dell'organetto. Lei si chiama Jet Zoon, viene dal Belgio e deve andare veramente veloce se alla sua età si può già permettere di suonare con una orchestra di tutto rispetto.
Jet è giovane, bionda, bella, il che non guasta. Il brano, l'unico che sono riuscito a trovare è quello del filmato qui sotto. Devo confessare che non è che mi abbia lasciato a bocca aperta, la sua musica... Ma Jet, che ha 19 anni e che avrà tutto il tempo di maturare artisticamente, mi ha fatto pensare.
Mi ha fatto pensare a un paese, il Belgio, in cui la gente riempie un teatro per ascoltare una compositrice, organettista, accompagnata da un'orchestra. Senza pretese di "recupero del patrimonio immateriale" (tra gli addetti ai lavori in Italia va molto di moda questa locuzione ministeriale), senza fiaschette di vino e cappelli di paglia, senza discorsi sull'organetto "strumento della civiltà contadina", senza l'immancabile complemento etnocoreutico paesano. Niente di tutto questo.
Quello che mi piace è che in questo contesto l'organetto ha la stessa dignità di un oboe, di un violino, di un trombone a coulisse. E' strumento di espressione musicale, nient'altro. Un organetto, una sala da concerto, un'artista e la sua musica. Succede anche in Italia alle volte, è vero, ma molto raramente...
Jet è giovane, bionda, bella, il che non guasta. Il brano, l'unico che sono riuscito a trovare è quello del filmato qui sotto. Devo confessare che non è che mi abbia lasciato a bocca aperta, la sua musica... Ma Jet, che ha 19 anni e che avrà tutto il tempo di maturare artisticamente, mi ha fatto pensare.
Mi ha fatto pensare a un paese, il Belgio, in cui la gente riempie un teatro per ascoltare una compositrice, organettista, accompagnata da un'orchestra. Senza pretese di "recupero del patrimonio immateriale" (tra gli addetti ai lavori in Italia va molto di moda questa locuzione ministeriale), senza fiaschette di vino e cappelli di paglia, senza discorsi sull'organetto "strumento della civiltà contadina", senza l'immancabile complemento etnocoreutico paesano. Niente di tutto questo.
Quello che mi piace è che in questo contesto l'organetto ha la stessa dignità di un oboe, di un violino, di un trombone a coulisse. E' strumento di espressione musicale, nient'altro. Un organetto, una sala da concerto, un'artista e la sua musica. Succede anche in Italia alle volte, è vero, ma molto raramente...
sabato 22 marzo 2008
Amici coreani
Ho già due amici coreani che portano nomi non coreani! Che strano. Il primo è James Davies, un artista illustratore e scultore che insieme alla mia amica Laura produce indimenticabili spettacoli di teatro di figura per i quali, alle volte, creo dimenticabili composizioni...
Il secondo si chiama Thomas Restoin, ma la sua fisionomia non caucasica rivela immediatamente le sue origini coreane. L'ho conosciuto prima su MySpace, poi, durante un viaggio a Lione, l'ho incontrato di persona. A parte che è proprio bravo, ma Thomas è anche disponibile e simpatico.
Ebbene. Il Comune di Lione mette a disposizione delle sale per attività musicali e coreutiche in appositi centri culturali e di aggregazione. Cose che noi ce le sognamo. Siamo rimasti ai centri sociali occupati... Thomas suonava per uno stage di danze francesi con un organetto molto strano, un Bertrand Galliard "cromatizzato" (cioè le notre sulle tre file erano disposte come su una fisarmonica cromatica, per semitoni) e "sbitonato" (cioè ogni tasto del canto suonava la stessa nota sia in apertura che in chiusura) con 32 bassi alla mano sinistra. Mi racconta che la parte dei bassi se l'è costruita da solo, con l'aiuto di Emanuel Pariselle che fa anche uno stage ogni tanto su come si costruiscono gli organetti. Un organetto geneticamente modificato.
Insomma, la Francia è piena di bravi organettisti, ti sbucano da tutte le parti. Era di pomeriggio. Mentre parlavo con Thomas, spunta Norbert Pignol. Volevo arpionarlo per fargli una breve intervista al volo, ma ha preso il volo prima del previsto e allora addio scoop...
Vi consiglio di ascoltare le musiche di Thomas sul suo spazio MySpace. Mentre qui vi propongo un video in cui vederlo all'opera sul suo strano organetto. E speriamo di vederti presto in Italia.
Ciao Thomas!
Il secondo si chiama Thomas Restoin, ma la sua fisionomia non caucasica rivela immediatamente le sue origini coreane. L'ho conosciuto prima su MySpace, poi, durante un viaggio a Lione, l'ho incontrato di persona. A parte che è proprio bravo, ma Thomas è anche disponibile e simpatico.
Ebbene. Il Comune di Lione mette a disposizione delle sale per attività musicali e coreutiche in appositi centri culturali e di aggregazione. Cose che noi ce le sognamo. Siamo rimasti ai centri sociali occupati... Thomas suonava per uno stage di danze francesi con un organetto molto strano, un Bertrand Galliard "cromatizzato" (cioè le notre sulle tre file erano disposte come su una fisarmonica cromatica, per semitoni) e "sbitonato" (cioè ogni tasto del canto suonava la stessa nota sia in apertura che in chiusura) con 32 bassi alla mano sinistra. Mi racconta che la parte dei bassi se l'è costruita da solo, con l'aiuto di Emanuel Pariselle che fa anche uno stage ogni tanto su come si costruiscono gli organetti. Un organetto geneticamente modificato.
Insomma, la Francia è piena di bravi organettisti, ti sbucano da tutte le parti. Era di pomeriggio. Mentre parlavo con Thomas, spunta Norbert Pignol. Volevo arpionarlo per fargli una breve intervista al volo, ma ha preso il volo prima del previsto e allora addio scoop...
Vi consiglio di ascoltare le musiche di Thomas sul suo spazio MySpace. Mentre qui vi propongo un video in cui vederlo all'opera sul suo strano organetto. E speriamo di vederti presto in Italia.
Ciao Thomas!
mercoledì 19 marzo 2008
Vetrine virtuali
Nella "perfida Albione" c'è un rinomato negozio di strumenti per la musica di tradizione che sta sperimentando un nuovo modo di esporre gli strumenti. Facendoli ascoltare, direttamente, grazie a Internet.
The Music Room, questo il nome del magazzino nei pressi di Leeds, ha un proprio canale YouTube dove è possibile ascoltare le dimostrazioni di molti strumenti musicali, compresi molti organetti, anche italiani.
Per chi compra online è un servizio sicuramente interessante, peccato che l'interesse svanisce immediatamente quando si leggono i prezzi in sterline!
Qui di seguito due dimostrazioni. Una fisarmonica suona una bourrée francese solitamente suonata all'organetto, e poi la dimostrazione del mio caro Hohner 2915, il mio primo organetto. Nostalgia...
The Music Room, questo il nome del magazzino nei pressi di Leeds, ha un proprio canale YouTube dove è possibile ascoltare le dimostrazioni di molti strumenti musicali, compresi molti organetti, anche italiani.
Per chi compra online è un servizio sicuramente interessante, peccato che l'interesse svanisce immediatamente quando si leggono i prezzi in sterline!
Qui di seguito due dimostrazioni. Una fisarmonica suona una bourrée francese solitamente suonata all'organetto, e poi la dimostrazione del mio caro Hohner 2915, il mio primo organetto. Nostalgia...
lunedì 17 marzo 2008
La festa di Nanterre
A Nanterre, nei pressi di Parigi, dal 5 al 6 aprile si svolgerà la quindicesima Festa della fisarmonica diatonica (15e Fête de l’Accordéon Diatonique), un appuntamento ormai piuttosto consolidato e interessante. Vengono proposti concerti e, soprattutto, una serie di stage di organetto.
Tra questi ve ne sono alcuni che mi sento di consigliare, come quello di Emmanuel Pariselle sull'accompagnamento della voce all'organetto (purtroppo i posti sono già tutti esauriti per questo stage ma mai dire mai...), oppure come quello di improvvisazione tenuto da Norbert Pignol o quello tenuto da Bruno Le Tron. Il programma completo lo trovate a questo link: http://www.dia-tonic.com/fete.html o a quest'altro: http://www.diatotrad.fr/
Tra questi ve ne sono alcuni che mi sento di consigliare, come quello di Emmanuel Pariselle sull'accompagnamento della voce all'organetto (purtroppo i posti sono già tutti esauriti per questo stage ma mai dire mai...), oppure come quello di improvvisazione tenuto da Norbert Pignol o quello tenuto da Bruno Le Tron. Il programma completo lo trovate a questo link: http://www.dia-tonic.com/fete.html o a quest'altro: http://www.diatotrad.fr/
giovedì 13 marzo 2008
Organittos
Recentemente ho ascoltato Riccardo Tesi parlare della sua passione per l'organetto. "Avrei voluto diventare un suonatore di organetto sardo", ha dichiarato. E poi, sconsolato, ha aggiunto: "Mi sono subito reso conto che c'era un piccolo problema: non ero sardo".
Certe cose all'organetto le ho viste fare solo ai sardi, è vero. Bisogna nascerci, si può studiare, fino allo sfinimento, ma se non si è sardi certe cose escono con un altro suono. Perchè la musica sarda è puro atletismo di mantice e Marc Perrone sta alle mazurche di Chopin come Totore Chessa sta ai concerti per pianoforte di Prokofiev.
E allora, che organetto sardo sia. Buon ascolto.
Certe cose all'organetto le ho viste fare solo ai sardi, è vero. Bisogna nascerci, si può studiare, fino allo sfinimento, ma se non si è sardi certe cose escono con un altro suono. Perchè la musica sarda è puro atletismo di mantice e Marc Perrone sta alle mazurche di Chopin come Totore Chessa sta ai concerti per pianoforte di Prokofiev.
E allora, che organetto sardo sia. Buon ascolto.
domenica 9 marzo 2008
Vélib e Vélo'v
Oggi scrivo da Lyon, bellissima, affascinante città della regione Rhone-Alpes. Se la visitate, consiglio a tutti di andare a fare due passi la domenica al mercato della Croix Rousse. Fateci la spesa, e di fronte a certi banchi carichi di formaggi e profumi francesi non potrete fare a meno di intrattenervi in chiacchiere con i Lionesi, gentili e sempre pronti a spiegarvi qual è il miglior modo di cucinare questo o quello. Subito dopo, tappa obbligatoria al Cafè Jutard, storico locale dove gustare uno strepitoso aperitivo a base di ostriche, pane nero con burro bretone "demi sal" e vino bianco.
Lyon è una città in rapida trasformazione, analoga a Torino per grandezza e numero di abitanti, ma nettamente più vivace e vivibile. Tre linee di metropolitana, piste ciclabili e servizi efficienti; e non è tutto. Forse non tutti sanno che Lyon è la prima città francese ad aver sperimentato il sistema Velo'v che solo in un secondo tempo è stato acquisito dalla capitale Parigi, con il nome Velib; se volete sapere che cosa è Velib potete leggere questo articolo.
Velib. Se la rivoluzione a pedali la fanno i Francesi
Gianni Ventola Danese
Liberazione, 2 marzo 2008
M adame et Messieurs, voilà le Velib. Velib, da velo , bicicletta, e liberté .
Da amante della bicicletta mi fermo estasiato a guardare le stazioni di noleggio e gli eleganti "velocipedi" color grigio topo (pare che il colore sia una scelta del sindaco Delanoë in persona), un po' pesanti ma alleggeriti dal disegno vagamente liberty. A Parigi ce ne sono ovunque. Mi fermo in Rue de Rivoli e inizio a contarli. In pochi minuti passano 43 Velib e 29 "biciclette civili". E un po' dappertutto e in ogni momento il numero di Velib è confrontabile con quello delle altre bici. La sensazione è che Delanoë sia riuscito a raddoppiare l'utenza a pedali.
Per migliorare la qualità della vita dei parigini, il sindaco ha vinto una enorme scommessa: mettere in piedi il più complesso servizio al mondo di biciclette a noleggio.
La mairie, il municipio di Parigi, ha annunciato la realizzazione delle piccole stazioni Velib a maggio dello scorso anno. Centinaia e centinaia di piccoli scavi hanno punteggiato la capitale per qualche settimana. Le stazioni sono state completate, e le bici consegnate, in un paio di mesi. L'inaugurazione del sistema è avvenuta il 15 luglio 2007, il giorno successivo alla festa nazionale. Quel giorno erano già pronte 750 stazioni e 10mila biciclette. I lavori continuano: a inizio 2008 le stazioni sono diventate 1451 e le bici 20mila 600.
I sondaggi dicono che già a fine settembre 2007 un parigino su cinque aveva provato Velib e che l'8 per cento della popolazione è già diventato un utilizzatore abituale. Quotidiani e settimanali, sono traboccanti di notizie sul fenomeno Velib. Voglio assolutamente provarlo. Per fare un abbonamento giornaliero è necessaria una carta di credito di quelle con il "chip elettronico". Per fortuna sono in compagnia di Anne. Lei è francese e ha quella carta di credito! La cosa più conveniente è l'abbonamento annuale: oggi sono già 120mila i parigini che lo hanno. La stazione Velib più vicina è praticamente sotto casa. I punti di noleggio sono totalmente automatizzati. Le bici sono agganciate ad un supporto con un lettore ottico. Basta avvicinare la tessera, una lucetta diventa verde. A quel punto la bici si sgancia e si può partire. La bici è comoda, scorrevole, con un cambio a tre velocità. Percorriamo un bel tratto di strada, raggiungiamo i piedi della collina di Montmartre, immediatamente adocchiamo una stazione. Agganciamo le bici, di nuovo luce verde e segnale sonoro confermano che tutto è in regola. Ci avviamo a piedi per i vicoli di Monmartre. Quanto ci è costato? Niente, neanche un centesimo. Perché se si usa la bici per meno di mezz'ora il noleggio è gratuito. Sì, gratuito!
Infatti, il sistema Velib è progettato proprio per i brevi spostamenti, quelli fino a 10/15 chilometri. Il sistema tariffario prevede che, dopo la prima mezz'ora gratuita, si paghi poi un euro per la seconda mezz'ora, due euro per la terza, quattro euro per la quarta e le successive. Insomma, Velib non si usa per andare in gita ma è un vero e proprio mezzo di trasporto urbano. La lezione è stata appresa dai parigini, la durata media dell'utilizzo delle biciclette è infatti di 22 minuti. Ogni bici viene usata 6-7 volte al giorno. E una volta tornati a casa, si può accedere al sito Velib (velib.paris.fr) e, inserendo il numero dell'abbonamento, controllare tutti i propri spostamenti, la durata e gli eventuali costi.
Non mancano gli inconvenienti, come ad esempio quello di trovare la stazione sotto casa già sguarnita di biciclette di prima mattina o, peggio, quello di non riuscire a lasciare la bici una volta arrivati perché le stazioni sono al completo. In ogni caso, ogni borne , la colonna della stazione, è in grado di dirti qual è il punto più vicino dove ci sono bici libere da prendere oppure posti liberi per restituirle. Insomma, tutte le informazioni disponibili su un piccolo terminale touch screen . Per me, che abito a Roma, dove la bici è vissuta come un ritorno al passato, è un po' come vivere in un racconto di fantascienza.
Sono bastati cinque giorni di soggiorno a Parigi per farmi diventare un entusiasta velibista. Abbiamo preso la bici per tre, quattro volte al giorno per tragitti quasi sempre inferiori alla mezz'ora e pertanto gratuiti. La sera, pedalare in città regala emozioni bellissime. In riva alla Senna si ritrovano i musicisti. Si lascia la bici. Si suona la fisarmonica, si balla, i battelli turistici e le chiatte cariche di ghiaia sfilano borbottando. Si riprende la bici. Il lungo Senna ti porta dritto alla visione fantastica di Notre-Dame, ci arriviamo in 20 minuti lungo i quai , le banchine che in certi punti sono esclusivamente pedonabili e ciclabili. Arrivati. La stazione è proprio lì. Lasciamo le bici e proseguiamo a piedi.
L'aspetto che rende Velib a tutti gli effetti un'autentica opzione in più per il trasporto dei parigini è proprio questo: la sua capillarità. Ovunque tu sia c'è una stazione Velib a non più di 150 passi. Da qualsiasi punto di Parigi in 2-3 minuti si arriva a piedi alla stazione Velib più vicina.
Il territorio del Comune di Parigi non è grande. I limiti amministrativi coincidono con il Boulevard Peripherique, un anello autostradale di forma ellittica. Al suo interno vivono 2,2 milioni di persone e qui sono state costruite le stazioni Velib. Distribuendo uniformemente 1451 stazioni in un territorio così limitato, la distanza media tra le stazioni risulta inferiore a 300 metri. E per riequilibrare il numero delle biciclette presenti in ogni stazione ci sono auto con rimorchio in grado di spostare sino a 20 Velib alla volta da un punto all'altro. Auto a metano, naturalmente. E per le riparazioni? Una péniche , una chiatta, sale e scende la Senna per recuperare le bici da aggiustare. A bordo, un marinaio e 11 meccanici lavorano per Velib.
È evidente che un sistema di noleggio bici di questa dimensione ha un costo di gestione molto alto. Ci sono oltre 400 persone assunte a tempo pieno per Velib, nel mantenimento di bici e stazioni e nell'amministrazione. Chi paga? Non certo gli utilizzatori, visto il prezzo simbolico del servizio. Non la Mairie, che anzi incassa i soldi degli abbonamenti e di ogni spostamento oltre la mezz'ora. Il servizio è fornito dalla società JCDecaux che, in cambio, ha avuto la gestione di tutti gli spazi pubblicitari dell'arredo urbano parigino. Però Delanoë gli affari li sa fare. Nel contratto precedente JCDecaux per questo enorme mercato pagava 1,8 milioni di euro. Ora, con il nuovo contratto paga 3,5 milioni più il servizio Velib. È probabile che JCDecaux abbia pensato a Parigi come a una vetrina, una formidabile pubblicità per esportare il sistema in altre città.
Lascio Parigi, ritorno nel "bel paese". In aereo tra me e me dialogo con il futuro sindaco di Roma. «A scuola non si poteva, ma ora si può. Puoi copiare, copia Francesco! Copia il compito dal compagno di banco Delanoë. Lui è più bravo di te, ma non importa, copia, copia, non lo diremo a nessuno!».
Lyon è una città in rapida trasformazione, analoga a Torino per grandezza e numero di abitanti, ma nettamente più vivace e vivibile. Tre linee di metropolitana, piste ciclabili e servizi efficienti; e non è tutto. Forse non tutti sanno che Lyon è la prima città francese ad aver sperimentato il sistema Velo'v che solo in un secondo tempo è stato acquisito dalla capitale Parigi, con il nome Velib; se volete sapere che cosa è Velib potete leggere questo articolo.
Velib. Se la rivoluzione a pedali la fanno i Francesi
Gianni Ventola Danese
Liberazione, 2 marzo 2008
M adame et Messieurs, voilà le Velib. Velib, da velo , bicicletta, e liberté .
Da amante della bicicletta mi fermo estasiato a guardare le stazioni di noleggio e gli eleganti "velocipedi" color grigio topo (pare che il colore sia una scelta del sindaco Delanoë in persona), un po' pesanti ma alleggeriti dal disegno vagamente liberty. A Parigi ce ne sono ovunque. Mi fermo in Rue de Rivoli e inizio a contarli. In pochi minuti passano 43 Velib e 29 "biciclette civili". E un po' dappertutto e in ogni momento il numero di Velib è confrontabile con quello delle altre bici. La sensazione è che Delanoë sia riuscito a raddoppiare l'utenza a pedali.
Per migliorare la qualità della vita dei parigini, il sindaco ha vinto una enorme scommessa: mettere in piedi il più complesso servizio al mondo di biciclette a noleggio.
La mairie, il municipio di Parigi, ha annunciato la realizzazione delle piccole stazioni Velib a maggio dello scorso anno. Centinaia e centinaia di piccoli scavi hanno punteggiato la capitale per qualche settimana. Le stazioni sono state completate, e le bici consegnate, in un paio di mesi. L'inaugurazione del sistema è avvenuta il 15 luglio 2007, il giorno successivo alla festa nazionale. Quel giorno erano già pronte 750 stazioni e 10mila biciclette. I lavori continuano: a inizio 2008 le stazioni sono diventate 1451 e le bici 20mila 600.
I sondaggi dicono che già a fine settembre 2007 un parigino su cinque aveva provato Velib e che l'8 per cento della popolazione è già diventato un utilizzatore abituale. Quotidiani e settimanali, sono traboccanti di notizie sul fenomeno Velib. Voglio assolutamente provarlo. Per fare un abbonamento giornaliero è necessaria una carta di credito di quelle con il "chip elettronico". Per fortuna sono in compagnia di Anne. Lei è francese e ha quella carta di credito! La cosa più conveniente è l'abbonamento annuale: oggi sono già 120mila i parigini che lo hanno. La stazione Velib più vicina è praticamente sotto casa. I punti di noleggio sono totalmente automatizzati. Le bici sono agganciate ad un supporto con un lettore ottico. Basta avvicinare la tessera, una lucetta diventa verde. A quel punto la bici si sgancia e si può partire. La bici è comoda, scorrevole, con un cambio a tre velocità. Percorriamo un bel tratto di strada, raggiungiamo i piedi della collina di Montmartre, immediatamente adocchiamo una stazione. Agganciamo le bici, di nuovo luce verde e segnale sonoro confermano che tutto è in regola. Ci avviamo a piedi per i vicoli di Monmartre. Quanto ci è costato? Niente, neanche un centesimo. Perché se si usa la bici per meno di mezz'ora il noleggio è gratuito. Sì, gratuito!
Infatti, il sistema Velib è progettato proprio per i brevi spostamenti, quelli fino a 10/15 chilometri. Il sistema tariffario prevede che, dopo la prima mezz'ora gratuita, si paghi poi un euro per la seconda mezz'ora, due euro per la terza, quattro euro per la quarta e le successive. Insomma, Velib non si usa per andare in gita ma è un vero e proprio mezzo di trasporto urbano. La lezione è stata appresa dai parigini, la durata media dell'utilizzo delle biciclette è infatti di 22 minuti. Ogni bici viene usata 6-7 volte al giorno. E una volta tornati a casa, si può accedere al sito Velib (velib.paris.fr) e, inserendo il numero dell'abbonamento, controllare tutti i propri spostamenti, la durata e gli eventuali costi.
Non mancano gli inconvenienti, come ad esempio quello di trovare la stazione sotto casa già sguarnita di biciclette di prima mattina o, peggio, quello di non riuscire a lasciare la bici una volta arrivati perché le stazioni sono al completo. In ogni caso, ogni borne , la colonna della stazione, è in grado di dirti qual è il punto più vicino dove ci sono bici libere da prendere oppure posti liberi per restituirle. Insomma, tutte le informazioni disponibili su un piccolo terminale touch screen . Per me, che abito a Roma, dove la bici è vissuta come un ritorno al passato, è un po' come vivere in un racconto di fantascienza.
Sono bastati cinque giorni di soggiorno a Parigi per farmi diventare un entusiasta velibista. Abbiamo preso la bici per tre, quattro volte al giorno per tragitti quasi sempre inferiori alla mezz'ora e pertanto gratuiti. La sera, pedalare in città regala emozioni bellissime. In riva alla Senna si ritrovano i musicisti. Si lascia la bici. Si suona la fisarmonica, si balla, i battelli turistici e le chiatte cariche di ghiaia sfilano borbottando. Si riprende la bici. Il lungo Senna ti porta dritto alla visione fantastica di Notre-Dame, ci arriviamo in 20 minuti lungo i quai , le banchine che in certi punti sono esclusivamente pedonabili e ciclabili. Arrivati. La stazione è proprio lì. Lasciamo le bici e proseguiamo a piedi.
L'aspetto che rende Velib a tutti gli effetti un'autentica opzione in più per il trasporto dei parigini è proprio questo: la sua capillarità. Ovunque tu sia c'è una stazione Velib a non più di 150 passi. Da qualsiasi punto di Parigi in 2-3 minuti si arriva a piedi alla stazione Velib più vicina.
Il territorio del Comune di Parigi non è grande. I limiti amministrativi coincidono con il Boulevard Peripherique, un anello autostradale di forma ellittica. Al suo interno vivono 2,2 milioni di persone e qui sono state costruite le stazioni Velib. Distribuendo uniformemente 1451 stazioni in un territorio così limitato, la distanza media tra le stazioni risulta inferiore a 300 metri. E per riequilibrare il numero delle biciclette presenti in ogni stazione ci sono auto con rimorchio in grado di spostare sino a 20 Velib alla volta da un punto all'altro. Auto a metano, naturalmente. E per le riparazioni? Una péniche , una chiatta, sale e scende la Senna per recuperare le bici da aggiustare. A bordo, un marinaio e 11 meccanici lavorano per Velib.
È evidente che un sistema di noleggio bici di questa dimensione ha un costo di gestione molto alto. Ci sono oltre 400 persone assunte a tempo pieno per Velib, nel mantenimento di bici e stazioni e nell'amministrazione. Chi paga? Non certo gli utilizzatori, visto il prezzo simbolico del servizio. Non la Mairie, che anzi incassa i soldi degli abbonamenti e di ogni spostamento oltre la mezz'ora. Il servizio è fornito dalla società JCDecaux che, in cambio, ha avuto la gestione di tutti gli spazi pubblicitari dell'arredo urbano parigino. Però Delanoë gli affari li sa fare. Nel contratto precedente JCDecaux per questo enorme mercato pagava 1,8 milioni di euro. Ora, con il nuovo contratto paga 3,5 milioni più il servizio Velib. È probabile che JCDecaux abbia pensato a Parigi come a una vetrina, una formidabile pubblicità per esportare il sistema in altre città.
Lascio Parigi, ritorno nel "bel paese". In aereo tra me e me dialogo con il futuro sindaco di Roma. «A scuola non si poteva, ma ora si può. Puoi copiare, copia Francesco! Copia il compito dal compagno di banco Delanoë. Lui è più bravo di te, ma non importa, copia, copia, non lo diremo a nessuno!».
giovedì 6 marzo 2008
Suoni multiformi multanimi
Era solo qualche tempo fa.
Mi ritrovai a parlare con Emily Verla Bovino, una studente americana presso l'Accademia di Roma, della possibilità di creare delle musiche per una sua opera d'arte, una sorta di installazione. Allorché, proposi di utilizzare non solo i suoni "convenzionali" dell'organetto, ma anche tutti i suoni materialmente producibili con questa scatola di legno carta e metallo.
Sul momento, realizzai una serie di suoni non convenzionali, con il mantice, con i tasti, con la valvola di sfiato, e con il cosidetto "cassotto". L'idea, e quei suoni misteriosi, piaquero molto a tutti e due. Le ance metalliche potevano generare rumori d'officina, echi astrali, lamenti umani. Il mantice e il cassotto si trasformavano in percussioni dalle miracolose potenzialità. Ci accorgemmo che un piccolo organetto poteva diventare il perturbante strumento di scellerate scoperte sonore, una fucina di suoni "multiformi multanimi animali domestici", per usare un celebre verso di Montale.
Ecco un esperimento musicale, veramente sorprendente, che in un certo senso segue questa prospettiva materica dello strumento. Il violoncellista Ethan Winer ha composto un brano pop, A Cello Rondò, interamente suonato usando solo suoni, ma proprio tutti i suoni, producibili con un violoncello e ne ha fatto un video molto divertente. Buona visione.
Mi ritrovai a parlare con Emily Verla Bovino, una studente americana presso l'Accademia di Roma, della possibilità di creare delle musiche per una sua opera d'arte, una sorta di installazione. Allorché, proposi di utilizzare non solo i suoni "convenzionali" dell'organetto, ma anche tutti i suoni materialmente producibili con questa scatola di legno carta e metallo.
Sul momento, realizzai una serie di suoni non convenzionali, con il mantice, con i tasti, con la valvola di sfiato, e con il cosidetto "cassotto". L'idea, e quei suoni misteriosi, piaquero molto a tutti e due. Le ance metalliche potevano generare rumori d'officina, echi astrali, lamenti umani. Il mantice e il cassotto si trasformavano in percussioni dalle miracolose potenzialità. Ci accorgemmo che un piccolo organetto poteva diventare il perturbante strumento di scellerate scoperte sonore, una fucina di suoni "multiformi multanimi animali domestici", per usare un celebre verso di Montale.
Ecco un esperimento musicale, veramente sorprendente, che in un certo senso segue questa prospettiva materica dello strumento. Il violoncellista Ethan Winer ha composto un brano pop, A Cello Rondò, interamente suonato usando solo suoni, ma proprio tutti i suoni, producibili con un violoncello e ne ha fatto un video molto divertente. Buona visione.
martedì 4 marzo 2008
Laica e figlia dei Lumi
Ci sono brani per organetto che sono molto utili didatticamente per introdurre a determinate tecniche e a nuove difficoltà. Uno di questi è La Marianne, un valzer facile della regione della Borgogna. Digione, tanto per orientarsi.
E' uno dei valzer più francesi che più francese non c'è, almeno dal punto di vista istituzionale. Perchè la Marianne è la rappresentazione allegorica della Repubblica francese. Rappresentata come una giovane donna dal cappello frigio, la Marianne personifica la Repubblica francese e rappresenta la permanenza dei valori della Repubblica, Liberté, Égalité, Fraternité.
La prima rappresentazione di quella che successivamente sarà identificata con la Marianne è nel celebre quadro "La Libertà che guida il popolo" di Eugène Delacroix. Essa è riprodotta fra l'altro sulla moneta da 20 cent, in busti di marmo in tutti i comuni francesi e, soprattutto, nel logo della Repubblica Francese, poiché è la rappresentazione simbolica della madre patria coraggiosa, nutrice e protettrice, forte nella guerra e nella pace.
Laica, figlia dei Lumi, incarna nella sua bellezza la società che rappresenta. "La Marianne" era anche il nome di una società segreta sorta nella provincia francese dopo il colpo di stato di Napoleone III del 2 dicembre 1851. Ora bisogna sapere che il dio Amon nella mitologia egizia era chiamato "il Nascosto, Segreto" o "l'Invisibile" e il gioco di parole sul significato della parola Marianne, cioè "amata dal Segreto", alludeva all'amore per la democrazia. Quando finalmente in Francia si instaurò la Terza Repubblica, La Marianne indicò la costituzione e poi anche la repubblica francese.
Insomma, la partitura la trovate qui, il brano è molto facile ma si presta a innumerevoli variazioni in tonalità di Do e a molte sostituzioni armoniche che la possono rendere più interessante da un punto di vista musicale. Per questo è anche un ottimo brano che si presta a essere suonato in duo.
E' uno dei valzer più francesi che più francese non c'è, almeno dal punto di vista istituzionale. Perchè la Marianne è la rappresentazione allegorica della Repubblica francese. Rappresentata come una giovane donna dal cappello frigio, la Marianne personifica la Repubblica francese e rappresenta la permanenza dei valori della Repubblica, Liberté, Égalité, Fraternité.
La prima rappresentazione di quella che successivamente sarà identificata con la Marianne è nel celebre quadro "La Libertà che guida il popolo" di Eugène Delacroix. Essa è riprodotta fra l'altro sulla moneta da 20 cent, in busti di marmo in tutti i comuni francesi e, soprattutto, nel logo della Repubblica Francese, poiché è la rappresentazione simbolica della madre patria coraggiosa, nutrice e protettrice, forte nella guerra e nella pace.
Laica, figlia dei Lumi, incarna nella sua bellezza la società che rappresenta. "La Marianne" era anche il nome di una società segreta sorta nella provincia francese dopo il colpo di stato di Napoleone III del 2 dicembre 1851. Ora bisogna sapere che il dio Amon nella mitologia egizia era chiamato "il Nascosto, Segreto" o "l'Invisibile" e il gioco di parole sul significato della parola Marianne, cioè "amata dal Segreto", alludeva all'amore per la democrazia. Quando finalmente in Francia si instaurò la Terza Repubblica, La Marianne indicò la costituzione e poi anche la repubblica francese.
Insomma, la partitura la trovate qui, il brano è molto facile ma si presta a innumerevoli variazioni in tonalità di Do e a molte sostituzioni armoniche che la possono rendere più interessante da un punto di vista musicale. Per questo è anche un ottimo brano che si presta a essere suonato in duo.
lunedì 3 marzo 2008
Stage di musica Klezmer
Mi è sempre piaciuta quella allegria in tonalità minore che prorompe dalle melodie klezmer. Una "tristezza allegra" che si sposa benissimo con il suono della fisarmonica, dell'organetto. Perchè il suono di una fisarmonica lo percepisco sempre come malinconico, nostalgico. Anche la melodia più allegra suonata alla fisarmonica racchiude sempre un po' di poesia. La musica klezmer racchiude questa idea, splendidamente. E forse la stessa cosa si potrebbe dire per il clarinetto, un altro strumento dalla vocalità struggente. Non a caso, fisarmonica e clarinetto sono i due strumenti d'elezione della tradizione klezmer.
L’ACCADEMIA DEL MANTICE
http://www.organetto.info
organizza a ROMA
Sabato 29 marzo 2008
ALLA SCOPERTA DEL REPERTORIO KLEZMER.
STAGE DI ORGANETTO
http://www.organetto.info/stage_klezmer.rtf
Docente: Gianni Ventola Danese
Destinatari
Lo stage si rivolge a coloro che suonano l’organetto 8-12-18 bassi in SOL-DO, e che desiderano ampliare il repertorio e migliorare il loro stile esecutivo. Allo stage possono partecipare anche coloro che non leggono la musica.
Argomento dello stage
Cosa è il klezmer? Il termine klezmer nasce dalla fusione delle parole kley e zemer, letteralmente strumento musicale. Questo genere musicale fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono da differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Lo stage affronterà non solo lo studio di brani klezmer, ma anche e soprattutto il corretto stile interpretativo di questa meravigliosa musica.
Saranno analizzate e studiati brani della tradizione klezmer, tenendo in considerazione le capacità e il repertorio già in possesso della classe.
Pernottamento a Roma
L’Accademia del Mantice mette a disposizione un servizio di bed and breakfast, camere d’albergo o appartamenti per chi arriva da fuori Roma, per single, coppie e famiglie, a prezzi accessibili, in contesti puliti e accoglienti situati in zone centrali.
Info e costi
Costo dello stage: 60 euro.
Iscrizioni e info: Gianni 329.3738715, info@organetto.info
Programma delle attività
Ore 9:30 Accoglienza partecipanti
Ore 10:00-13:00 Stage (prima parte)
Ore 13:00-15:00 Pausa
Ore 15:00-18:30 Stage (seconda parte)
E per iniziare a pregustare le sonorità dello stage, ho scovato questa gustosa interpretazione di Di Grine Kuzine, la celebre composizione di Abe Schwartz, uno dei maggiori clarinettisti klezmer. La solare Minelle all'organetto, una bella atmosfera etilica quanto basta. E tutto intorno è Parigi.
L’ACCADEMIA DEL MANTICE
http://www.organetto.info
organizza a ROMA
Sabato 29 marzo 2008
ALLA SCOPERTA DEL REPERTORIO KLEZMER.
STAGE DI ORGANETTO
http://www.organetto.info/stage_klezmer.rtf
Docente: Gianni Ventola Danese
Destinatari
Lo stage si rivolge a coloro che suonano l’organetto 8-12-18 bassi in SOL-DO, e che desiderano ampliare il repertorio e migliorare il loro stile esecutivo. Allo stage possono partecipare anche coloro che non leggono la musica.
Argomento dello stage
Cosa è il klezmer? Il termine klezmer nasce dalla fusione delle parole kley e zemer, letteralmente strumento musicale. Questo genere musicale fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono da differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Lo stage affronterà non solo lo studio di brani klezmer, ma anche e soprattutto il corretto stile interpretativo di questa meravigliosa musica.
Saranno analizzate e studiati brani della tradizione klezmer, tenendo in considerazione le capacità e il repertorio già in possesso della classe.
Pernottamento a Roma
L’Accademia del Mantice mette a disposizione un servizio di bed and breakfast, camere d’albergo o appartamenti per chi arriva da fuori Roma, per single, coppie e famiglie, a prezzi accessibili, in contesti puliti e accoglienti situati in zone centrali.
Info e costi
Costo dello stage: 60 euro.
Iscrizioni e info: Gianni 329.3738715, info@organetto.info
Programma delle attività
Ore 9:30 Accoglienza partecipanti
Ore 10:00-13:00 Stage (prima parte)
Ore 13:00-15:00 Pausa
Ore 15:00-18:30 Stage (seconda parte)
E per iniziare a pregustare le sonorità dello stage, ho scovato questa gustosa interpretazione di Di Grine Kuzine, la celebre composizione di Abe Schwartz, uno dei maggiori clarinettisti klezmer. La solare Minelle all'organetto, una bella atmosfera etilica quanto basta. E tutto intorno è Parigi.
La Nonchalante
Quello col cappello è Emmanuel Pariselle. Perchè il titolo di questo post fa riferimento a una bella mazurca composta da Pariselle, forse ispirata alla Valse Nonchalante di Camille Saint-Saens? Non ne sono certo, alcuni passaggi armonici potrebbero ricordarla. Emmanuel suona in duo di organetti con Christian Maes, e devo dire che il risultato non è male, anzi. In particolare, la mazurca di cui sopra, una melodia bel disegnata, elegante, che se ne va via così, con nonchalance... ma alla fine lascia il segno.
Nato a Tolosa nel 1953, Emmanuel incontra il folk a Parigi con la musica bretone, e inizia a suonare il flauto irlandese, a cui si dedica con passione fino al suo incontro con l'organetto, attraverso la musica di Serge Desaunay. Inseritosi nella vivace scena folk francese della seconda metà degli anni '80, sviluppa uno stile personale, basato essenzialmente sull'uso dell'organetto come strumento di accompagnamento.
Al Festival di Thonder in Danimarca risale il suo incontro con Martin O'Connor, con cui lavorerà per vari anni; sempre a Thonder incontra Katherine Bersoux, con la quale forma un primo gruppo legato alle musiche del Mediterraneo, Tramontane, e dopo la fine di quest'esperienza, costituisce French Alligators, formazione storica del cajun "made in France", che incide vari dischi. Con la rottura del sodalizio artistico e personale con Katherine, lavora in duo con Christian Maes e, più recentemente, con il polistrumentista guascone Didier Oliver (violino, mandolino, cornamusa).
La patitura del brano, un po' confusionaria per la verità, sono riuscito a trovarla qui. Potete ascoltare il brano sullo spazio MySpace del duo Parisielle oppure anche qui, in una esecuzione un po' "ruspante".
Insomma, Pariselle ha uno stile tutto suo, il lirismo delle sue canzoni non si dimentica in fretta. Se non siete deboli di cuore ascoltate anche Les Temps des Puces, Les Mangeux d'Terre o La Marche Nuptiale, tratte dall'omonimo Cd del 2005. E' comunque molto istruttivo ascoltarlo per il modo in cui si accompagna. Buon ascolto.
Nato a Tolosa nel 1953, Emmanuel incontra il folk a Parigi con la musica bretone, e inizia a suonare il flauto irlandese, a cui si dedica con passione fino al suo incontro con l'organetto, attraverso la musica di Serge Desaunay. Inseritosi nella vivace scena folk francese della seconda metà degli anni '80, sviluppa uno stile personale, basato essenzialmente sull'uso dell'organetto come strumento di accompagnamento.
Al Festival di Thonder in Danimarca risale il suo incontro con Martin O'Connor, con cui lavorerà per vari anni; sempre a Thonder incontra Katherine Bersoux, con la quale forma un primo gruppo legato alle musiche del Mediterraneo, Tramontane, e dopo la fine di quest'esperienza, costituisce French Alligators, formazione storica del cajun "made in France", che incide vari dischi. Con la rottura del sodalizio artistico e personale con Katherine, lavora in duo con Christian Maes e, più recentemente, con il polistrumentista guascone Didier Oliver (violino, mandolino, cornamusa).
La patitura del brano, un po' confusionaria per la verità, sono riuscito a trovarla qui. Potete ascoltare il brano sullo spazio MySpace del duo Parisielle oppure anche qui, in una esecuzione un po' "ruspante".
Insomma, Pariselle ha uno stile tutto suo, il lirismo delle sue canzoni non si dimentica in fretta. Se non siete deboli di cuore ascoltate anche Les Temps des Puces, Les Mangeux d'Terre o La Marche Nuptiale, tratte dall'omonimo Cd del 2005. E' comunque molto istruttivo ascoltarlo per il modo in cui si accompagna. Buon ascolto.
sabato 1 marzo 2008
Per Queneau?
Raymond Queneau. E' sempre stato la mia passione. Qualche anno fa, insegnando tecniche di scrittura, presi lo spunto dai suoi Esercizi di stile per costruire coi miei studenti una mirabolante collezione di tipologie testuali. Devo dire che ci divertimmo molto. Se avete tempo dategli una occhiata e non ve ne pentirete.
Oggi prendo ancora spunto da Queneau, ma questa volta in ambito musicale. "Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un'ombra, Zazie il sogno di un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia è il sogno di un sogno, l'ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota". Così lo stesso Queneau parlava del suo romanzo Zazie dans le Métro (Zazie nel Metrò) dal quale Louis Malle ne trasse un bellissimo quanto visionario film.
Capita che io abbia preso spunto dalla storia di Zazie per comporre un valzer, poi capita che la clarinettista con cui suono si mette in testa di volerne ricavare una pièce teatrale con le mie musiche, mettici una brava attrice come Silvia Luzzi che aderisce immediatamente al progetto ed ecco che domenica ci ritroviamo a debuttare con questa cosa che più strana non si può, ma che forse, proprio per questo, sarebbe piaciuta a Queneau.
Per chi passasse per Roma, l'appuntamento è Domenica 2 marzo, alle ore 11.00 presso la Sala Concerti della Scuola Popolare di Musica del Testaccio, piazza O. Giustiniani 4/a.
Come disse Raymond. Sogno di sogno, ombra di ombra. Distillare la realtà nel surreale per sopportare la verità delle cose, per salvarsi, per cercare felicità. Forse. Perchè non c'è peccato più grave di quello di non credere nei sogni. O, peggio, di tradirli. Ma non tutti lo sanno...
Oggi prendo ancora spunto da Queneau, ma questa volta in ambito musicale. "Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un'ombra, Zazie il sogno di un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia è il sogno di un sogno, l'ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota". Così lo stesso Queneau parlava del suo romanzo Zazie dans le Métro (Zazie nel Metrò) dal quale Louis Malle ne trasse un bellissimo quanto visionario film.
Capita che io abbia preso spunto dalla storia di Zazie per comporre un valzer, poi capita che la clarinettista con cui suono si mette in testa di volerne ricavare una pièce teatrale con le mie musiche, mettici una brava attrice come Silvia Luzzi che aderisce immediatamente al progetto ed ecco che domenica ci ritroviamo a debuttare con questa cosa che più strana non si può, ma che forse, proprio per questo, sarebbe piaciuta a Queneau.
Per chi passasse per Roma, l'appuntamento è Domenica 2 marzo, alle ore 11.00 presso la Sala Concerti della Scuola Popolare di Musica del Testaccio, piazza O. Giustiniani 4/a.
Come disse Raymond. Sogno di sogno, ombra di ombra. Distillare la realtà nel surreale per sopportare la verità delle cose, per salvarsi, per cercare felicità. Forse. Perchè non c'è peccato più grave di quello di non credere nei sogni. O, peggio, di tradirli. Ma non tutti lo sanno...
Iscriviti a:
Post (Atom)