domenica 29 giugno 2008

Pianta la cipolla e scappa

Le nuove frontiere della resistenza globale
Dal Guerrilla gardening ai progetti del comune di Londra per l'integrazione agricola urbana.
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione 22/6/08


Che futuro attendono le nostre città? E' evidente che, almeno a Roma, secondo l'ottica dell'ultimo sindaco, un diplomato all'istituto professionale per l'industria e l'artigianato, il futuro delle città sta tutto in una parola: cemento. Sono 70 milioni i metri cubi di cemento autorizzati nel nuovo piano regolatore della città, un piano a dir poco scellerato, analizzato e criticato da insigni docenti universitari e urbanisti. Basti ricordare il recente libro La città in vendita (Donzelli Editore) del professore Paolo Berdini, docente di Urbanistica presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università Tor Vergata a Roma. "Roma perde abitanti, 300mila negli ultimi anni, e non lo dico io, lo dice la provincia di Roma, - denuncia Berdini, - ma negli stessi anni guarda caso a Roma sono spuntati ben 28, ventotto!, nuovi centri commerciali". Il nuovo sacco di Roma è in pieno atto e bisogna fermarlo. Come? Coi fiori e le cipolle, ad esempio.
Perché la vocazione di una città come Roma, come anche la nuova tendenza di molte altre città europee, è quella di ritornare a essere "comuni agricoli". E ci sono iniziative, non solo autogestite ma anche istituzionali, che dimostrano chiaramente come la gente sappia perfettamente cos'è meglio per la vivibilità e il futuro della propria città. E allora è solo questione di tempo: l'aggressione al cemento armato sostenuta dalla bolla immobiliare mondiale e da una certa classe politica compiacente, si scontrerà prima o poi con la realtà dei fatti.
Ancora oggi Roma è il primo comune agricolo d'Italia, con una superficie coltivata più grande dell'intero comune di Bologna. Roma è da sempre così. Passando in macchina da un quartiere all'altro, tuttora si ammirano scorci di campi coltivati e greggi di pecore, grandi orti e coltivazioni di fiori. Le aziende agricole, molte delle quali di grandi dimensioni e a partecipazione pubblica (come ad esempio quella de La Marcigliana, tra la Salaria e l'Aurelia), si stanno convertendo da tempo alle produzioni biologiche e persino biodinamiche. A Roma si può fare turismo enogastronomico senza uscire dalla città. In un futuro prossimo (anzi già presente), dominato dall'escalation dei prezzi dell'energia, sarà di vitale importanza per le grandi metropoli essere in grado di produrre almeno una parte del cibo per i propri abitanti. Le aree agricole cittadine sono una ricchezza inestimabile che non solo dovrebbe essere custodita gelosamente, ma anche sviluppata e potenziata ove possibile.
Per questo c'è chi semina pomodori nel pieno della città. Il cosiddetto Giardinaggio d'assalto (o Guerrilla gardening) è un movimento internazionale che al grido di "La rivoluzione è fertile!" compie azioni clandestine dirette di riqualificazione agricola di piccole o grandi aree urbane lasciate in abbandono. Dovunque ci sia terra c'è spazio per un gesto politico. Ho appuntamento con Paolo, un "guerrigliero" romano. Lui resiste così, i semi in tasca e il senso di una forma di protesta che vede lontano. "Ho piantato pomodori ciliegini in piazza Venezia, è stata una soddisfazione vedere quella macchia rossa nel cuore della città. La terra va salvaguardata, va rispettata, e seminare le nostre piante non autorizzate è un semplice gesto politico, un messaggio di liberazione, per una città che non sia solo cemento, speculazioni edilizie e centri commerciali". Gli chiedo se poi qualcuno va a raccogliere quanto seminato. "Non è importante, questo, - mi risponde, - l'importante è che si faccia. Abbiamo colonizzato anche aree dei parchi cittadini, Villa Ada e altri luoghi, lì abbiamo messo a dimora zucchine, insalata, peperoni, tutto ora cresce liberamente e una famiglia che passeggia la domenica nel parco può incappare nei nostri ortaggi, è questo quello che vogliamo, il mezzo è il messaggio, no?". Le parole di Paolo mi rimandano alla mente la poesia I limoni, di Eugenio Montale, quei frutti gialli, vivi, solari, scorti per caso da un "malchiuso portone" all'interno di un cortile, aprono al poeta un mondo di suggestioni e di pensieri. Una sorta di languida rivolta dell'anima.
Qualche decennio dopo Montale, sarebbe nato oltre oceano il movimento del giardinaggio d'assalto. La prima volta che viene usato il termine guerrilla gardening è nel 1973, da parte di Liz Christy e il suo gruppo Green Guerrilla, nella area di Bowery Houston a New York. Questo gruppo trasformò un derelitto lotto privato in un giardino. Dopo trent'anni questo spazio è ancora ben tenuto. e gode della protezione del dipartimento parchi di New York. Ma la Guerrilla Gardening in questa forma - cioè fare giardinaggio sulla terra di qualcun altro senza permesso - esiste da secoli. Due celebrati giardinieri di questo tipo, attivi prima del conio del termine guerrilla gardening, erano Gerald Winstanley insieme al gruppo The Diggers (gli zappatori) nel Surrey England, nel 1649, e John Chapman soprannominato "seme di mela" nell'Ohio, USA, nel 1801.
Il guerrilla gardening si è poi diffuso in tutto il mondo. Nel nord dello Utah, crescono spesso dei meleti lungo le banchine dei canali. Lungo i fossi più piccoli crescono invece degli asparagi. Molte di queste piante furono seminate 150 fa dai lavoratori che scavarono i suddetti fossati, seppellendo i torsoli di mela del loro pranzo nel terreno appena scavato, oppure spargendo clandestinamente i semi lungo le nuove rive dei fossati. Il guerrilla gardening continua tuttora, quando delle singole persone piantano segretamente delle piante da frutto, o altre piante commestibili perenni, o ancora dei semplici fiori nei parchi, lungo le piste ciclabili, eccetera.
Ma qualcuno lo fa con il chiaro intento di produrre cibo. Gli urban farmers, i contadini urbani, sono una realtà in crescita, guidata anche dal rincaro generale dei generi alimentari. Me lo conferma Giovanni, abita a Roma e ha la fortuna di avere a sua disposizione un terrazzo, in parte condominiale. Mi mostra con orgoglio le sue primizie: "queste sono zucchine, poi ci sono pomodori di varie qualità, cipolle, cetrioli, peperoni, carote. Non ci vuole molto, è solo una questione di mentalità, si tratta rinunciare alle piante ornamentali per fare agricoltura in casa. Le informazioni su come si fa le trovo su internet, basta digitare urban gardening e trovi siti americani che ti dicono cosa fare punto per punto, negli Stati Uniti c'è una grande tradizione". E poi aggiunge: "Dai un'occhiata all'aumento dei prezzi alimentari degli ultimi mesi. E' strettamente correlato al vertiginoso aumento del costo del petrolio. I miei peperoni sono più che a chilometri zero, non hanno percorso un solo metro, sono germogliati qui, coltivati e consumati direttamente dal sottoscritto, a costo quasi pari allo zero. Produzione locale alla massima potenza, non ho consumato una goccia di petrolio, e ruotando le semine in modo razionale ho ortaggi gratis fino ai primi freddi invernali. Risparmio un bel po' sulla spesa e contribuisco alla sostenibilità". Sarà anche il clima di Roma, ma il terrazzo di Giovanni sembra una serra: è costellato di fiori di zucchina e imponenti piante di pomodori. Mi prepara un mazzetto di insalata fresca e me lo regala.
Ma Paolo e Giovanni non sono eccentrici catastrofisti, interpretano piuttosto dal basso quello che sarà la città del futuro. E a questo proposito incominciano a nascere dei progetti dall'alto, come quelli del celebre architetto e designer statunitense Fritz Haeg. che propone di trasformare i giardini di città, pubblici e privati, in altrettanti orti. Non un'idea nuovissima, visti gli orti di guerra di mussoliniana memoria e i Victory Gardens che si coltivavano in Gran Bretagna nella stessa epoca. E mentre di fronte alla crisi alimentare globale il primo ministro inglese Gordon Brown ha dichiarato:"Nei prossimi anni avremo bisogno di fare grandi cambiamenti nel modo col quale organizziamo la produzione alimentare", la Tate Gallery commissionava ad Haeg un progetto di "arredo urbano commestibile", chiedendo di trasformare un triangolo di erba incolta nella città di Londra in una piccola tenuta agricola permanente. L'obiettivo era soprattutto quello di coinvolgere i residenti nel progetto, e in poco tempo, quello che era un luogo principalmente frequentato da cani e tossici, è stato trasformato miracolosamente in un piccolo rigoglioso orto con alberi di susine e mele, piante di pomodoro, zucca, melanzana, fagioli e cavolini di Bruxelles, contornato da filari di insalata e piante aromatiche. E, dato il successo, il progetto londinese è poi stato replicato in molte altre città negli Stati Uniti. "L'intero progetto che ho realizzato è radicato nel modo di pensare e di lavorare di un architetto, - afferma Haeg, - cioè di rivalutare e migliorare gli spazi vitali in cui svolgiamo le nostre attività a cominciare dalle nostre sovraffollate metropoli".
Fritz, come afferma lui stesso, è stato ispirato dal concetto di impronta ecologia: "lo studio One Living Planet del Wwf ha dimostrato sorprendentemente come il 23 percento delle emissioni di Co2 procapite siano imputabili al cibo, alla sua produzione e al suo trasporto. Così, solo nell'ultimo anno, il prezzo delle mele è aumentato del 30 percento. Sono convinto che gli spazi verdi ornamentali siano diventati un lusso che non ci possiamo più permettere, è arrivato il momento di coltivare ortaggi nei nostri prati all'inglese e nei parchi pubblici". E aggiunge: "Il Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR) stima che entro il 2015 più della metà della popolazione mondiale abiterà nelle aree urbane, provocando in questo modo una delle più grandi sfide nella storia dell'agricoltura. Avremo bisogno di produrre cibo vicino a dove vivono le persone, e oggi tutti sono entusiasti di questa idea, gli urbanisti, le università, i direttori di testate giornalistiche, tutti credono nella possibilità di produrre cibo nel cuore delle grandi città.
Ma è realistico rinunciare ai parchi urbani e, soprattutto, c'è abbastanza terra per farlo? E' questa la prima e immediata obiezione al progetto di una agricoltura urbana integrata. "Oggi già molti architetti e urbanisti suggeriscono come integrare attività agricole dentro nuovi e vecchi insediamenti urbani, - dichiara Haeg,- ed è partita una vera e propria corsa alla riconquista di tutti gli spazi liberi rintracciabili all'interno della struttura delle nostre città. Ne è un esempio il classico "quartiere perimetrale", un edificio abitativo con all'interno un ampio cortile, il più delle volte adibito a giardino condominiale, o peggio, a parcheggio per auto. Basta guardare una vista aerea di Londra per rendersi conto dell'enorme quantità di spazi all'aperto privati che sarebbero perfetti per avviare questa rivoluzione agricola".
E' una cultura che va sicuramente ancora incentivata e sostenuta. A questo proposito, nel Middlesborough è già iniziato un programma di formazione per insegnare alle persone come coltivare erbe ortaggi e frutta avendo a disposizione un piccolo terrazzo o un cortile. Ma il progetto più ambizioso, ancora in fase di studio, è il cosiddetto Feed the Olympics. Attraverso la collaborazione di tutte le associazioni ambientaliste presenti a Londra, sono stati censiti 6mila acri di terreno solo nel comune della città che saranno coltivati per fornire 14mila pasti "a chilometri zero" durante i 60 giorni dell'evento olimpico del 2012. Ciò inoltre contribuirà a creare 2012 orti urbani che costelleranno tutta la capitale, compresi orti comunali e "tetti verdi".
L'Italia come al solito è il leggerissima controtendenza: per dare un'idea: fertili aree agricole saranno erose dai soliti noti delle speculazioni edilizie con il suggello di "illuminati" amministratori. Solo a Roma saranno edificati 1700 nuovi palazzi da 8 piani. Con i costi degli alloggi e la crisi economica alle porte, magari non si venderà neanche tutto, però intanto "per sicurezza" si costruisce, e in 70 milioni di metri cubi ci sta tanta roba. Di cultura e coltura Roma potrebbe rivivere e rifiorire rafforzando il suo status di città più bella del mondo. E allora, perché non guardare per una volta alla perfida Albione?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Proprio un bell'articolo bravo!

Anonimo ha detto...

Grazie!

Anonimo ha detto...

Guerrillero, manderò il tuo articolo a tutti i ragazzi della consulta di terni... con gli indirizzi coperti, ovviamente :P
Sono d'accordo con te. Giovanni non è un eccentrico catastrofista.

Matteo ha detto...

bASTA ORNAMENTI!NE ABBIAM PIENI I PARAMENTI...
CRESCERAN POMODORINI
VICINO AI TOMBINI!
AVREMO MELANZANE
PRESSO L'INGRESSO DELLE METROPOLITANE!
E PEPERONI...
DOVUNQUE CI SIA QUALCUNO CHE ROMPE
GLI.... -ONI!!!

Anonimo ha detto...

Interessantissimo!!!
Dario