Altro che Suv, attenti all'utilitaria.
E' lì che iniziano gli sprechi
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione 26/7/08
Tutti i giornali (con le solite eccezioni) e le televisioni sembrano non dare rilievo alla notizia del secolo: siamo in riserva. Il petrolio si sta esaurendo e tra 30/40 anni saremo a secco. Semplicemente, siamo alla fine della civiltà occidentale, alla fine di quel modo di vivere al quale tutti siamo ormai abituati. A dirla tutta, la notizia è vecchiotta: era stata annunciata nel 1956 il geofisico americano Marion King Hubbert. Nel '56 mancavano 50 anni al picco, ora ci siamo proprio nel mezzo. Ma nulla sembra essere cambiato nella percezione di chi dovrebbe accorgersi di questo "piccolo" problema.
Le case automobilistiche, ad esempio. E non parleremo dei tanto vituperati Suv, manifestazione estrema dello spreco insensato di risorse energetiche. Il problema dei Suv, riservati a pochissimi e circolanti in numero minimo rispetto all'intero parco auto (sono alcune decine di migliaia contro decine di milioni di auto medie e medio-piccole), è un falso problema, dietro al quale si tenta di nascondere il vero problema: quello dei consumi energetici delle auto "normali".
Il 30 percento del petrolio che importiamo va a finire direttamente nei serbatoi delle auto cosiddette "medie". Auto che a ogni nuova generazione crescono almeno un quintale di peso (plastiche, elettroniche, servomeccanismi, dispositivi di sicurezza e metalli pregiati vari) e di una decina di centimetri di lunghezza, con il risultato di vanificare i progressi tecnici nel frattempo ottenuti sul piano dei consumi. Un esempio? Il leggendario "cinquino" Fiat disegnato da Dante Giacosa e lanciato sul mercato nel 1936 pesava all'origine 470 chili. La riedizione tecnologica della casa torinese datata 2007 fa registrare un peso di 980 chili. Più del doppio. E se la vecchia Cinquecento consumava 6 litri per fare cento chilometri, ora i consumi sono di 8,3 nel ciclo urbano e 6,3 in quello misto. Anche la velocità massima soffre di questa demenza ipertrofica: 85 km/h nella vecchia, 160 nella nuova 500 (ma la versione Abarth tocca i 208 km/h).
Ma non è solo un problema Fiat, naturalmente. È il mercato che tende all'ipertrofia e ad assecondare le megalomanie di un consumatore frastornato dalla pubblicità e dalla stupida giostra della Formula Uno. Il caso della Volkswagen Golf, la vettura media di maggiore successo dei tempi recenti (il record assoluto credo sia ancora del maggiolino), è emblematico. Il modello della prima serie pesava 780 chili, "ingrassato" di volta in volta a ogni passaggio di serie: 920, 1010, 1170, 1300 chili. Anche in questo caso siamo arrivati a raddoppiare (quasi) il peso originario. E se la vettura della prima serie era lunga 382 cm, l'ultima arrivava a 421: più 39 cm. La stessa cura ingrassante si è verificata per tutti i nuovi modelli di tutte le case automobilistiche europee. Potete verificare da soli.
I Suv sono solo un simbolo. Il punto è che andrebbero stabiliti per legge limiti ragionevoli al peso, potenza e dimensioni delle auto. Se la gente riusciva a entrare comodamente in una Golf prima serie, sarebbe l'ora di chiedersi perché dobbiamo usare qualcosa che pesa il doppio, con il doppio o il triplo di potenza. E se non consuma molto di più lo si deve o ai clamorosi margini di recupero di efficienza che esistevano rispetto agli scadentissimi motori a benzina della Golf prima serie, oppure alle false dichiarazioni dei costruttori, come pare risulti da una recente indagine condotta dal settimanale tedesco Autobild e dall'italiano Quattroruote.
Lo spreco di una risorsa che si sta esaurendo è già di per sé un atto irresponsabile. Ma c'è una sorta di aggravante, se questo spreco ci è imposto dalle case automobilistiche. Che risparmio otterremmo, infatti, se utilizzassimo le attuali tecnologie motoristiche mantenendo velocità e pesi delle vecchie autovetture? Lo avevano fatto due ingegneri tedeschi qualche anno fa per conto di GreenPeace modificando una Renault Twingo. Risultato: un motore 358cc di cilindrata, 650 chili di peso, tre litri per fare 100 km, velocità pari al modello originale.
Se i Suv sono solo stupidi tirannosauri assetati di benzina destinati un giorno a finire in qualche museo della fesseria meccanica, è la pessima qualità energetica delle utilitarie a rappresentare la vera falla nel sistema degli sprechi energetici. Ma non è tutto. Le nuove derive consumiste cinesi e indiane pongono seriamente anche il problema della quantità.
Recentemente è apparsa sul mercato l'auto più economica del mondo, la Tata Nano, l'auto da 2mila euro. Quattro porte, motore 600 cc, niente condizionatore né vetri elettrici. Presentata in India all'inizio del 2008 e rivolta ad un potenziale mercato di oltre un miliardo di persone. Avete letto bene. Un miliardo di persone. Pensare a un miliardo di queste scatolette in circolazione fa venire il mal di testa. Qualcuno potrebbe obiettare che sia legittimo che in India desiderino ciò che noi già abbiamo da anni. È vero anche che sui nostri mercati "ricchi" queste auto tanto economiche non appariranno mai. Fin qui la notizia. Ma quanta materia prima occorrerà per costruire un miliardo di pseudo-Smart? E quanto inciderà sul consumo globale di petrolio l'avvento di miliardi di nuove auto? Inoltre la Cina non starà a guardare e produrrà l'analoga Chery.
Non affrontare il problema degli sprechi nel sistema della mobilità automobilistica significa lasciare aperta una falla enorme nel bilancio energetico italiano. Siamo in piena emergenza, e come in tutte le emergenze c'è sempre qualcuno che fa perdere tempo agli altri proponendo idee e soluzioni bislacche. Mentre lo si sta ad ascoltare la nave affonda. È il caso del neo presidente dell'Aci Enrico Gelpi tempo fa lanciava la sua cura al problema dell'overdose automobilistica italiana: «Numero chiuso alle auto», «Ottimizzazione del parco circolante», «Incentivi alla rottamazione». Il numero chiuso è un'idea bislacca e irrealizzabile in un paese dove non si riesce neanche a far sì che le auto siano assicurate come la legge prevede. Il numero chiuso si dovrebbe invece applicare ai barili di petrolio da bruciare nei nostri motori a scoppio. Finiti quelli, tutti a piedi! E allora si vedrebbe la vera rivoluzione delle autovetture ecologiche.
Il sistema economico spinge per la realizzazione di soluzioni materiali all'esaurimento delle fonti fossili di energia. Si assiste, anche tra amici, a interminabili discorsi su quale sia l'auto più "economica", ciascuno dal proprio punto di vista: quella che consumando meno fa risparmiare soldi, o che ha minor impatto ambientale, o che fa risparmiare energia. E poi a confrontarsi sui carburanti alternativi, tra i fautori del gasolio e, clandestinamente, del biodiesel; i convinti del gpl che si accapigliano con quelli del metano; e poi le infinite teorie per sostenere/demolire le auto ibride o i sogni sfrenati sull'idrogeno. Non si arriva a nulla, perché le compagnie automobilistiche continuano a sfornare modelli definiti "ad alta tecnologia" per via del navigatore satellitare nel cruscotto.
L'unica soluzione realizzabile è quella di non comprare nuove auto, tenersi la vecchia e usarla il meno possibile. Anche la spesa per l'acquisto di un'auto ad alta efficienza (facciamo l'esempio della Toyota Prius, la migliore auto ibrida che ci sia in circolazione: va ad elettricità fino a 50 kmh, poi entra il motore a benzina che ricarica le batterie, costo 25mila euro) vanifica di per sé qualsiasi speranza di un futuro risparmio energetico. Quanto alle risorse, quale sarà mai l'utilità di impiegare tutte quelle plastiche, acciaio, alluminio solo per usare un po' di petrolio in meno? Lo spreco è a monte. Insomma, a conti fatti, molto probabilmente, l'auto più sostenibile in assoluto è una sola: quella che già possediamo... qualunque essa sia.
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