Sto suonando, insieme a Cristina Majnero al clarinetto e a David Medina al contrabbasso, le musiche di uno spettacolo teatrale molto bello di cui ho già scritto sul blog.
Lo spettacolo ha avuto un grande successo, ogni sera c'è il tutto esaurito e ci hanno prorogato fino all'11 marzo. Poi ogni sera capita tra il pubblico qualche presenza inaspettata quanto gradita. Ieri sera c'era Franca Rame che si è complimentata e con la quale ho avuto una interessante conversazione su un tema drammatico: la contaminazione da uranio impoverito che ha ucciso 45 militari italiani, nel totale silenzio delle istituzioni italiane, e ne ha ammalati altri 512.
Dato che finire il post qui mi sembrava triste, aggiungo ancora qualcosa.
Avendo vissuto lo spettacolo già una quindicina di volte, mi è venuta voglia di scriverne una recensione, pubblicata ieri dal Riformista. Eccola qui dui seguito.
Quando il teatro è questione di cervello
Di Gianni Ventola Danese
Pubblicato su "Il Riformista" del 23/2/2007
Riempie i teatri la storia di Giovanni Passannante. E non è una storia lontana dal nostro mondo e dal nostro tempo. Nonostante le parole e gli accadimenti risalgano al 1878. La storia di Giovanni Passannante non è ancora conclusa. Ed è il teatro, che paradossalmente le storie le perpetua, a chiedere che si metta la parola fine alla vicenda di un anarchico lucano, semplicemente, con la sua sepoltura. Ulderico Pesce è un attore di razza, uno impegnato, uno engagée, come si dice. I suoi monologhi scendono nel cuore vivo della cronaca e ne risalgono con parole vere, concitate in un profluvio ritmico narrativo capace di fare una cosa in cui pochi riescono: raccontare la realtà. In modo forte, toccando temi forti.
Sembra quasi che la storia sia solo un pretesto, quasi passa in secondo piano la vicenda di Passannante che a Napoli, il 17 novembre 1878, armato di un coltellino, tentò di assalire re Umberto I di Savoia, riuscendo solo a sfregiargli una gamba. Per questo venne arrestato, torturato, condotto attraverso un processo farsa e poi incarcerato a vita in condizioni disumane. Divenne cieco, si ammalò, i muscoli gli si atrofizzarono, infine la pazzia. Scontò gli ultimi anni della sua esistenza in un ospedale psichiatrico dove si spense nel 1910.
La morte non bastò. Fu decapitato, il corpo dato in pasto ai cani, il cranio e il cervello, in ossequio alle teorie del Lombroso, divennero oggetti da esposizione presso il museo criminologico di Roma. Oggi, con due euro, è ancora possibile ammirare i “reperti scientifici”. Da alcuni anni un nulla osta del Ministero della Giustizia permetterebbe la sepoltura dei poveri resti, ma finora l’inazione ha trovato l’italica complicità di burocrazia e opportunismo politico. Ancora per molto?
Recarsi oggi al museo criminologico significa provare una strana sensazione. Perché quel cervello è divenuto un simbolo. Il simbolo delle idee. Delle utopie, forse. Per questo non è di destra, non è di sinistra. L’idea di libertà è in ogni essere umano e in quella teca colma di formalina ci siamo anche noi. Le nostre speranze, le nostre aspirazioni, qualsiasi esse siano. Idee molto simili a quelle di Passannante mossero Giovanni Pascoli ad avvicinarsi agli ambienti socialisti, a scendere in piazza in difesa dell’attentatore e poi addirittura a dedicargli un’ode. Con la sua berretta rossa / ne faremo una bandiera. Solo questi due versi sono arrivati fino a noi. Per questo Pascoli fu arrestato, incarcerato e costretto a distruggere il testo.
Portare la tortura in scena non è da tutti. Il Passannante torturato è una figura tragica e allo stesso tempo, purtroppo, attuale. La scena è intensa, quasi pulp, d’improvviso la sala ammutolisce. Solo uno tra i tanti fili conduttori che si possono tirare. Quando l’ultimo caso di tortura in Italia? C’è un processo in corso per i fatti di Bolzaneto del 2001. Non a caso in scena Ulderico Pesce è un carabiniere coinvolto nei fatti di Genova. Colui che ha il compito di sorvegliare il museo e di mantenere il livello giusto della formalina che conserva il cervello di Passannante. Un incarico punitivo per aver fatto qualcosa di sbagliato, proprio a Genova nel 2001.
Sarà un incontro a cambiare la vita del carabiniere. Un incontro che porta in scena una storia d’amore per certi versi “scandalosa” tra i due poli opposti di una tragica vicenda che il destino decide di mettere in contatto. Il carabiniere e Lucia, entrambi vittime. Entrambi con un segreto. Saranno loro a riscoprire il senso della pietà.
Temi alti, difficili, che trovano nel finale una sorta di estuario narrativo nell’improvvisa apparizione di Antigone. Sintesi tra libertà e legge, tra natura e cultura. Per questo, alla fine, dopo aver anche sorriso, ci si accorge che il teatro di Pesce è un teatro essenzialmente di pensiero, quasi filosofico, che parlando facile, il più delle volte con slang lucano, arriva dritto alle questioni fondamentali. Una fra tutte. Che il rispetto per i morti è solo una delle tante declinazioni del rispetto per l’altro. Al teatro Cometa Off di Roma fino all'11 marzo.
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