giovedì 28 febbraio 2008

Lo sconosciuto di Limoise

Limoise è un piccolo comune francese di 157 abitanti situato nel dipartimento dell'Allier della regione dell'Alvernia. Se lo segnate sulla mappa con la matita rossa vi accorgerete che è proprio nel centro geografico della Francia.

Nasce qui il tema di una delle più belle mazurche francesi che io conosca. Si tratta de L'inconnu de Limoise, una composizione di Jean Francoise "Maxou" Heintzen che, per l'occasione, scrisse anche un testo da cantare sulla melodia.

C'è un retroscena. La canzone, in effetti, prende spunto da un fatto realmente accaduto. Durante dei lavori di ristrutturazione del cimitero comunale venne alla luce una sepoltura anonima nella quale un uomo era stato seppellito insieme alla sua cornamusa. Le emozioni scaturite da questa scoperta, e anche gli interrogativi sull'identità di questo musicista senza nome, sono stati probabilmente i fattori che hanno aiutato Jean Francoise a disegnare una melodia veramente ispirata e toccante.

Vi propongo la partitura di questro brano, non solo del tema principale, ma anche di una seconda voce, sempre per organetto. Su YouTube ho trovato questa versione per fisarmonica, tanto per farsi un'idea...

mercoledì 27 febbraio 2008

Un omaggio alla bellezza

A Emily Verla Bovino

Ex voto
(E. Montale)

Accade
che le affinità d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.

Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perchè solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.

(E.Montale)

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Chaim Soutine, Scala rossa a Cagnes, 1918, Collezione privata

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"Un'anima è fatta di fuoco e di cristalli di rocca. È una cosa molto severa e dura in senso vetero-testamentario, ma è anche dolce come il gesto delicato con cui la punta delle sue dita sfiorava le mie ciglia".

Etty Hillesum , Diario 1941-43

martedì 26 febbraio 2008

Il Quartetto Osiris

Assecondo la deriva delirante sul tema "didattica della musica". Poi torniamo a parlare di organetto, promesso.

Dopo aver visto un modo alquanto originale di insegnare come si scrive una Fuga, vediamo come poter insegnare la storia della musica in modo altrettanto divertente e allo stesso tempo efficace. Loro sono gli Stringfever, un quartetto d'archi "geneticamente modificato", secondo la definizione che si sono dati.

Non li ho contati, ma credo che riescano a mettere insieme una cinquantina di temi musicali in un unico brano senza confini: dalla musica barocca al rock passando per Wagner e Beethoven, per arrivare alla colonna sonora di Pretty Woman, al ragtime, al jazz, al pop... non manca nemmeno Michael Jackson. E' interessante, se non altro dimostrano che il quartetto d'archi è una delle più potenti macchine da musica della storia, e già questa è una bella lezione...

Una specie di "Quartetto Osiris"... insomma, dei pazzi furiosi... Buona visione.

lunedì 25 febbraio 2008

In Fuga per Britney

Come si insegna la musica? Come arrivare all'essenza delle cose musicali, come trasmettere una idea che si può realizzare solo nella dimensione sonora?

Mi sono ricreduto sul nostro sistema universitario quando un'artista statunitense laureata in storia dell'arte presso la Columbia University (una delle migliori università americane, mi dicono) mi ha recentemente detto con un velo di candida innocenza di ignorare assolutamente che cosa sia una fuga in musica.

E allora, ecco un modo che trovo molto stimolante per insegnare la teoria musicale. Farla scendere nel quotidiano, dimostrando che la musica è fantasia e creatività ma, allo stesso tempo, un complesso codice linguistico denso di regole. E' sempre stato così.

E allora quale modo migliore di insegnare a scrivere una Fuga? Magari analizzando una delle tante e geniali fughe di Bach. Va bene, ma perchè, piuttosto, non scriverne una nuova sul tema di un successo pop di Britney Spear's, Oops I Did It Again. Il risultato è fantastico. Insegnanti di musica di tutta Italia, prendete spunto!

Per chi volesse suonarsi la Fuga di Britney ribattezzata Oops I Did a Fugue Again, può scaricarsi la partitura qui. Non è detto che non la suoni con mio trio...

E' un video per certi versi delirante ma geniale. Buona visione.


venerdì 22 febbraio 2008

Il Quincy Jones giapponese

Credo che i grandi compositori oggi vadano cercati tra quelli che scrivono musica per il cinema. Piovani, Williams, Morricone, tanto per fare qualche nome. Ultimamente ho scoperto le composizioni di un altro grande: il giapponese Joe Hisaishi. Ha scritto soprattutto per il regista Takeshi Kitano e per svariati film di animazione che hanno avuto un grande successo di pubblico sia in Giappone che all'estero. Scrivere le musiche per i cartoni animati. Le note di Hisaishi sono poesia pura, armonie perfette, sapienti, attraverso la cui trama si intravedono le influenze dei grandissimi: Berlioz, Mahler, Bruckner, Puccini. Tutto questo per un cartone animato? Sì, e non lo trovo così strano.

Sto scrivendo le musiche per uno spettacolo di teatro di figura, o marionette come si dice più semplicemente. Mi rendo conto quanto sia difficile entrare in sintonia con una storia e trasformare le emozioni in una colonna sonora. Soprattutto quando a disposizione hai solo un organetto e non un'orchestra.

Proprio in Oriente il teatro di figura ha una enorme tradizione. Nell'autunno del 2007 ho assistito nel teatro Boni di Acquapendente alla meravigliosa performance di un artista giapponese, Nori Sawa membro dell’UNIMA-Giappone, Unione Internazionale della Marionetta, e insegnante presso l’Accademia delle Arti Performative di Praga. Si capisce come mai i cartoni animati abbiano un grande successo in Giappone, perchè in un certo senso hanno sostituito il teatro di figura, delimintandolo e rinnovandolo nel linguaggio dell'animazione.

La musica nel teatro, nel cinema, in qualsiasi rappresentazione scenica, ha un ruolo importantissimo e deve essere curata nei minimi particolari perchè rappresenta una parte importante della dimensione sonora ed emozionale dell'universo possibile di cui si narra. La musica è il cielo sopra il palcoscenico, è la quinta parete.

Tutto questo per dire che ascoltare Hisaishi mi sta aiutando molto a capire quanto una musica possa essere descrittiva, evocativa, quanto basti poco per aprire gli occhi all'immaginazione dello spettatore. Questo è il suo sito ufficiale: http://www.joehisaishi.com. Scoprirete che ha composto una quantità incredibile di musica, e che è nato il 6 dicembre...

giovedì 21 febbraio 2008

Iron Scottish

Quando ho ascoltato Iron Scottisch ho capito che la musica popolare sta subendo una vera trasformazione. Una trasformazione che asseconda un fenomeno che emerge in più paesi: la riscoperta dei balli popolari da parte dei giovanissimi, una riscoperta che coincide anche con l'invenzione di nuovi contesti sociali nei quali le danze popolari prendono forma.

Aedo suona spesso ai Boombal in Belgio (ne ho scritto in un articolo), veri e propri rave a base di musica folk, e si tratta di una formazione veramente interessante da ascoltare. E' questione di gusti, si sa, ma mettere insieme sonorità rock, hard-rock, e organetto non è proprio da tutti. Ma il risultato è ascoltabile e la voglia di ballare non si fa attendere. In fondo loro suonano proprio per questo.

Ascoltate Bouglet Bloume, il suddetto Iron Schottishe e ancora Bourrè Anthee, e sentirete l'organetto interloquire con assoli di chitarra elettrica. Lei, l'organettista, si chiama Klaas Keymolen. Come rock non è certo il massimo, come musica popolare nemmeno. E' qualcosa che sta nel mezzo.

E' un rock buono, fa il bullo ma alla fine ha il cuore tenero. Si potrebbe tentare forse di renderlo più cattivo applicando un distorsore all'organetto? Questo è il loro spazio MySpace.

Buon ascolto, e pogate con cautela...

martedì 19 febbraio 2008

Fantastica Sinfonia Fantastica

Berlioz. Il pentagramma come arma del delitto
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione, 17.2.2008

Una personalità geniale, eccentrica, contraddittoria. Così Hector Berlioz veniva ricordato dai suoi contemporanei, soprattutto dai musicisti che in lui vedevano la “reincarnazione” di Beethoven. I capelli arruffati, lo sguardo torvo, occhi scuri capaci di illuminarsi improvvisamente sospinti da una balenante visione musicale.
Perché è proprio dalla visione, o meglio, dall’incontro tra visione, scenografie immaginifiche e musica che nasce il capolavoro della produzione del compositore francese: la Symphonie Fantastique opus 14 (Sinfonia Fantastica), scritta dall’autore nel 1830. Un testo musicale polimorfo e complesso nel quale Hector sperimenta nuove tecniche compositive e inediti colori orchestrali che domineranno la musica descrittiva del suo secolo, giungendo a influenzare fortemente la musica delle colonne cinematografiche del Novecento. Un’opera intensa, sofferta, dietro la quale si nasconde, ma neanche tanto, la vicenda autobiografica dell’artista e di una donna, Harriet Smithson, che sposerà il compositore 5 anni dopo il loro incontro.
Berlioz la incontra per la prima volta nel 1827. Lei, attrice, recita l’Amleto a Parigi con una compagnia inglese. Il musicista viene folgorato e, irrimediabile, nasce la passione amorosa, a quanto pare inizialmente non corrisposta, verso l’attrice inglese, affascinante, capricciosa e nevrotica. Da questa tormentata storia d’amore, dalle sofferenze che ne scaturiscono e, si dice, dall’uso abbondante di oppio a cui fece ricorso il compositore per lenire le sue sofferenze, che nascono i cinque quadri della Sinfonia dal significativo sottotitolo “Episodi della vita di un artista”. Una composizione dal sapore decisamente autobiografico, quasi la colonna sonora delle deliranti visioni di un amante non corrisposto. La composizione, scritta di getto, con l’impeto tipico di un giovane ventisettenne, emerge chiaramente da una situazione psicologicamente drammatica e lacerante dello stesso autore.
In questa Sinfonia, che può apparire più come un gigantesco Poema Sinfonico di narrativa libera, il compositore rivive e ripercorre la sua tormentata storia d'amore con la donna. A parte la formulazione in cinque tempi e la sua inusuale e lunga durata (circa un’ora di musica), la Sinfonia presenta una massiccia e quanto variegata orchestrazione, quasi sperimentale secondo la tendenza del maestro francese: un ottavino, due flauti, due oboi, un corno Inglese, un clarinetto piccolo, due clarinetti, quattro fagotti, quattro corni, due cornette, due trombe, tre tromboni, due oficleidi (strumenti a fiato oggi quasi in disuso nelle orchestre), quattro timpani, una gran cassa, un tamburo, piatti, due campane, quattro arpe, e la solita nutrita famiglia degli archi.
Ognuno dei cinque movimenti è accompagnato da un titolo che ne riassume il significato. Il primo movimento porta il titolo di Sogni e Passioni e sembra dichiarare il programma estetico della composizione. Il tempo è caratterizzato da un’introduzione lenta che sfocia presto nel tema principale, pieno di impeto ma, anche, dotato di continui cambiamenti di ritmo. Il compositore mette in scena non solo la sua storia amorosa, i sui sentimenti, ma anche il tormento, l’angoscia e le visioni apocalittiche che ne derivano. Il secondo movimento si intitola Il Ballo. Qui Berlioz sogna di incontrare la sua amata ad una festa. Si tratta di uno dei valzer sinfonici più celebri della storia della musica. Il tre quarti coreutico si gonfia di pathos, acquista potenza di battuta in battuta: è la misteriosa quanto meravigliosa nascita del sentimento d’amore.
Scena Campestre è il titolo del terzo movimento. Il tempo è un “adagio” che si mantiene su un ritmo molto lento che fa leva soprattutto sugli strumenti a fiato e su una dolce malinconia. Il musicista ha una visione pastorale dei suoi sentimenti ed emerge prepotentemente l’influenza della Sinfonia Pastorale di Beethoven. Come nella partitura del tedesco, nel finale del lungo movimento oscuri presagi si addensano sulla vicenda d’amore. Un rullo di timpani chiude il movimento annunciando un radicale cambiamento di scenario.
È il quarto movimento, uno dei momenti più profondi e suggestivi della Sinfonia. Il titolo, non proprio tra i più dolci per una musica che parla d’amore, è Marcia al Supplizio, basato tutto sugli strumenti a percussione. Come recita il programma della Sinfonia, scritto dallo stesso autore, qui il musicista immagina di avere assassinato la sua amata, e di essere per questo condannato a morte. Berlioz mette in scena la sua condanna a morte. La musica è un incedere drammatico che scandisce il percorso verso il patibolo. La grancassa batte inesorabile, le linee melodiche discendenti portano verso la terra, il senso della morte è più cinematografico che mai.
Il finale porta il titolo di Sogno di una Notte di Sabba Infernale. Ci troviamo di fronte alla parte più bella dell’intero lavoro. Lo schema compositivo è assolutamente originale: dopo una prima parte frenetica, rimarcata dai violini a ritmo serrato, ecco il rintocco delle campane che suonano a morto e il lugubre tema principale portato avanti dai fiati, cui fanno seguito gli altri strumenti in un’atmosfera quasi irreale, sospesa, onirica. Il compositore immagina di incontrare l'amata in una Sabba Infernale con tanto di streghe, stregoni, ombre, misteri e danze grottesche di ogni genere. Si tratta senza dubbio dell’opera di un uomo ossessionato da alcune visioni e tormentato da una storia sentimentale finita male ma è, sicuramente, anche l’espressione più genuina dell’animo di un artista che, non trovando riscontri e apprezzamenti nei contemporanei, anticipa la musica moderna e apre nuovi orizzonti sul piano del sinfonismo tardo ottocentesco.

lunedì 18 febbraio 2008

Marc & Jean

Marc Perrone. Un punto di riferimento per tutti i fisarmonicisti diatonici, per tutti i musicisti probabilmente, dato il suo inconfondibile stile e la liricità delle sue composizioni. Voglio fargli un piccolo omaggio, così, come se fosse il suo compleanno.

La sua origine è chiaramente italiana, ma è nato a nel 1951 à Villejuif. La sua formazione è essenzialmente quella di un autodidatta. Protagonista del rinnovamento, della riscoperta e dell'evoluzione tecnica dello strumento, Perrone suona oggi un organetto a quattro file, progettato e pensato insieme a Mario Castagnari.

Con questo tipo di organetto riesce a interpretare agevolmente musica tradizionale, ma anche a riscoprire le più note chansons françaises e proponendosi in alcune incursioni nell'improvvisazione jazz.

Appassionato di cinema, si rivolge alla composizione di alcune colonne sonore dopo l'incontro con Bernard Favre agli inizi degli anni Ottanta. In particolare, ha collaborato soprattutto per Bertrand Tavernier e Jean Renoir. Sarà lo stesso Tavernier a dichiarare a proposito di Perrone: "Un musicien magnifique, voyageur dans le temps et réparateur de mémoire. Peut-être parce qu'il sait le prix et la valeur des rêves?".

Il valore dei sogni, già. Un valore che in pochissimi conoscono... Bellissimo, lo lascio in francese perchè "réparateur de mémoire" è una definizione stupenda, forse quella che ogni musicista vorrebbe.

Qui propongo un video che ritrae Perrone in duo con il mito Jean Corti, alla fine Trois petit note de musique, e tutto il pubblico che canta.



Qui sotto una versione discografica di Trois petit note de musique registrata dallo stesso Perrone. Un brano bellissimo e rilassante, lo yoga dell'organetto. Buon ascolto. Ah, dimenticavo, come sentirete, in Francia su questo pezzo si canta sempre...


venerdì 15 febbraio 2008

k.e.s.stagnari

Ho sempre percepitpo che nei miei organetti Castagnari albergava un demone rock, soprattutto in quei momenti in cui una mazurka del Berry mi si trasformava tra le mani in un pezzo dei Pink Floyd. E ora ho capito il perchè!

E' tutta colpa di Andrea Castagnari (a destra nella foto). E' lui che accorda i miei organetti. Ci siamo visti poco più di una settimana fa in quella stanzetta magica dove lavora, a Recanati: su quell'ermo colle nasce il suono degli organetti Castagnari.

E' lui il leader dei K.e.s (non chiedetemi cosa significhi l'acronimo), una formazione rock di grande qualità, è sua la voce molto bella, è lui che tra un organetto e l'altro scappa in sala d'incisione a immolare il suo talento musicale sull'altare del rock. Con tanto di coro "Shalla lalla uh uh!". Bellissimo.

Hanno proprio un bel tiro, bel sound (si dice così in italiano, no?). Ascoltateli, sono appena usciti con il cd Il rumore delle cose, una bella autoproduzione. Non sentirete neanche un organetto ma sentirete comunque un Castagnari!

mercoledì 13 febbraio 2008

La lumaca corre veloce

Un po' Yann Tiersen, un po' Nymann, ma soprattutto, Alessandro Pipino. E' una bella scoperta il nuovo lavoro di questo musicista barese, una autoproduzione molto ben curata e registrata a nome del Quartetto Escargot con il titolo Corri. Avevo già anticipato qualcosa in un post precedente, mi sono preso il tempo per ascoltare e riascoltare il disco. Mi sono accorto che riascoltare questo disco non stanca, anzi è un piacere.

In Italia è nato un nuovo organettista che non tenta di imitare Norbert Pignol o Riccardo Tesi. Con Alessandro Pipino nasce in Italia un nuovo modo di intendere l'organetto, forse non completamente inedito in Francia e in altre nazioni, ma sicuramente portatore di una ventata di aria fresca nel belpaese organettistico. Anche perchè Pipino non è solo un organettista, è un musicista.

Dietro il lavoro di Pipino non c'è solo una musicalità innata, un grande senso della forma e della frase melodica, ma c'è anche ricerca timbrica, sperimentazione di accostamenti tra strumenti inusuali, una sapiente capacità di arrangiamento e, anche, non dimentichiamolo, altri tre musicisti di ottimo livello: Massimo La Zazzera (fiati e percussioni), Stefania Ladisa (violino e viola) e Adolfo La Volpe (chitarre e basso).

Un bel disco, veramente. Mi sono chiesto, ce l'ha un difetto? Si sa, una critica non è una critica genuina se risulta completamente positiva. Il disco è un lavoro di brani eleganti, sobri, misurati, "per bene", forse troppo "per bene". Le idee musicali sono folgoranti, originali, ma qualche volta si percepisce la mancanza di un ulteriore sviluppo. Forse alle volte manca quel qualcosa capace di stupire, di spiazzare. Forse. E' solo una mia impressione, che non entra comunque in dissonanza con il grande apprezzamento per le composizioni di Alessandro Pipino.

E poi, secondo il mio parere, ci sono assoluti capolavori. Ascoltare brani come Magida, In Cammino, ed Erde den Dinge (dove Pipino compone per piano solo alla maniera di Nymann) significa tuffarsi in un universo di emozioni e percepire la grande cura formale con il quale è stato confezionato il lavoro. La mia preferita? Direi Come le Foglie, un geniale brano in Re minore, una tonalità poco frequentata dagli organettisti.

E poi mi sono fatto un'altra domanda. Con tutta la robaccia pubblicata in disco, neo-folk, neo-trad, pseudo trad-folk, folk-rock, pizzica-punk e chi più ne ha più ne metta, possibile che in Italia non ci sia stata una casa discografica, anche piccola, disposta a pubblicare questo bellissimo lavoro?

I brani, non tutti, si possono ascoltare sullo spazio MySpace del Quartetto. Ve lo consiglio, depurate le vostre orecchie, fateci un salto.

domenica 10 febbraio 2008

Zonzon

Non conosco molte persone che sanno suonare questo pezzo (a dir la verità ne conosco una che mi ha detto che lo sta studiando...). Si tratta di Zonzon, una composizione di Bruno Le Tron. E' molto difficile, cambia tonalità un paio di volte, si usa spesso la terza fila, i bassi sono complessi. Un vero e proprio studio per organetto, una sorta di esercizio di tecnica esecutiva.

La melodia è anche molto bella, e allora faccio i complimenti tre volte. A Le Tron che lo ha composto, all'organettista francese che lo suona in questo video, e a tutti coloro che lo hanno studiato o lo stanno studiando. E vi invidio anche un po'...



Post Scriptum.
Chi volesse la partitura mi scriva!

giovedì 7 febbraio 2008

Storie d'altri tempi...

Pierre e Adolphe. I due fratelli che si contesero l’inno dei lavoratori
Di Gianni Ventola Danese
Liberazione, 3.2.2008


Pierre e Adolphe Degeyter. Due fratelli contro. Questa è la tormentata storia della nascita della musica dell’Internazionale, sul testo di Eugene Pottier. Pierre nasce a Gand nel 1848 da una famiglia di operai, comincia a lavorare all’età di otto anni nelle filature, conoscendo da subito le difficoltà della vita. Ma il suo talento musicale esce allo scoperto attraverso la sua bella voce di baritono. Nelle ore serali riesce a frequentare i corsi di educazione musicale dell’Accademia di Lille. Nel poco tempo che gli avanza dopo il lavoro, suona il contrabbasso, il saxofono, scrive canzoni, orchestra brani. Pierre è uno dei migliori dell’Accademia. Dopo il servizio militare si iscrive al Partito Operaio Francese e ne diviene attivista.
Nel 1886 il fratello minore Adolphe perde il lavoro e insieme girano per le strade e per le feste, insieme al cognato che suona un harmonium. Sono tempi difficili, ma con la musica riescono a fare qualche soldo extra. Pierre e Adolphe, quest’ultimo è operaio fabbro ma ha qualche cognizione di musica e sa cantare, abitano sotto lo stesso tetto. Una circostanza fortuita mette le premesse alla nascita del celebre canto di lotta. Un sabato sera di giugno Pierre riceve in prestito dal capo del Partito Operaio Delory la raccolta dei Chants révoluttionaires di Eugene Pottier uscita l’anno precedente, con la richiesta di musicarne uno. La mattina dopo Pierre sta sfogliando il volume ed è colpito proprio da l’Internazionale. All’inizio del pomeriggio si mette all’harmonium e compone di getto la musica. Quella che ancora oggi cantiamo: Compagni, avanti, gran Partito / Noi siamo dei lavorator!. Era il 18 giugno 1888. La sera, Pierre propone al fratello di cantare l’inno, lo mette a posto, lo perfeziona. Non ha dubbi. La musica è quella.
La prima esecuzione pubblica avverrà il 23 giugno ad opera della corale di Lille. Il canto viene stampato in 6mila copie. Pierre teme rappresaglie e firma la partitura con il solo cognome. Il fatto è che l’Internazionale è infatti diventata popolarissima fra i socialisti a Lille e non c’è festa o manifestazione dove non venga intonata. Per questo, la borghesia non vede di buon occhio tutto questo successo. Ma in realtà tutti sanno chi è l’autore e, purtroppo, Pierre viene licenziato. Nessuno lo vuole riassumere. Da parte sua, Pierre si è sempre rifiutato di aderire alla Società degli Autori perché non vuole che il suo inno sia gravato da diritti, ciò andrebbe a discapito della causa socialista.
Qui le strade dei due fratelli si dividono. Pierre lascia il Partito Operaio per confluire nel Partito Socialista, mentre Adolphe rimane legato al Partito Operaio. Delory fa ristampare il canto con il nome del fratello Adolphe, rimasto fedele al suo Partito. Adolphe da parte sua non si oppone, soprattutto perché Delory è anche Sindaco del paese e teme di perdere il posto di lavoro e di veder peggiorare la sua già precaria condizione economica. Qui nasce il giallo dell’attribuzione del canto.
Nel dicembre 1903 “La Petite République” pubblica una inchiesta approfondita di Louis Lumet. Qui, in modo apparentemente oggettivo, si dimostra che è Pierre Degeyter il vero autore del canto. È lo stesso Pierre a chiedere di essere messo a confronto con Delory e a suo fratello davanti a un giurì d’onore. Tuttavia, non ricevendo risposta, si vede costretto a iniziare una causa legale. Pierre non vorrebbe citare in giudizio il fratello perché sa che è stato in un certo senso raggirato, ma la legge parla chiaro e Pierre deve procedere anche contro Adolphe.
A questo punto il tribunale propone un confronto probatorio molto semplice. Un esame di musica da fare ai due fratelli. Chi ne sa di più di musica, sicuramente è il compositore del celebre canto. Ma la soluzione salomonica viene scartata e il primo verdetto della corte è sfavorevole a Pierre che dal canto suo non si arrende e ricorso. Scoppia la Grande Guerra. Tutto è rimandato.
Saranno proprio le circostanze belliche a far riemergere la verità. Per bocca dello stesso Adolphe che, in un momento di sconforto, stretto nella paura di morire in combattimento, scrive al fratello una lettera che fuga ogni dubbio: “Caro fratello, non ho mai composto musica e tanto meno l’Internazionale. Se ho firmato un foglio a Delory è perché non osavo rifiutargli niente per paura del licenziamento. Se ti scrivo ciò è perché non si sa che cosa mi possa capitare”.
Ma le polemiche non finiscono. Nel 1916 Lille è occupata dai tedeschi, Adolphe, ridotto in miseria e ammalato, si suicida. Delory si affretta a recuperarne il corpo, finito in una fossa comune, e a dedicargli un monumento funebre: “Qui riposa Adolphe Degeyter, il compositore dell’Internazionale”. La corte di Parigi è chiamata a dirimere definitivamente il caso nel 1922. La lettera di Adolphe è decisiva agli effetti giuridici e la corte dichiara una volta per tutte Pierre Degeyter autore dell’Internazionale.
In tutti quegli anni Pierre ha sempre vissuto a Saint-Denis, affiancando al lavoro la militanza politica e sindacale. Ma ora lui e la moglie non sono più in grado di lavorare e sono ridotti a vendere nelle feste popolari confetti di zucchero e d’orzo. A Mosca, alcuni membri dell’Esecutivo della III Internazionale, tra cui Trotski, chiedono un intervento del Partito Comunista francese. Pierre ottiene in questo modo una piccola pensione e un alloggio. Nel 1928, in occasione del VI Congresso della III Internazionale, Pierre si reca in Unione Sovietica dove gli viene riservata una accoglienza trionfale. A Mosca gli intitolano una strada.
Pierre morirà il 26 settembre 1932 nella sua Saint-Denis. Il funerale viene trasformato in significativo fatto politico attorno al quale il PCF chiama alla mobilitazione: il 2 ottobre più di 50mila lavoratori seguiranno il carro funebre cantando la sua immortale musica. Su, lottiamo, l'Ideale / nostro alfine sarà / l'Internazionale / futura umanità!